mercoledì 30 giugno 2010

Riflessioni sull'organizzazione ML

di M. Minetti

Assistiamo in vari campi della vita associativa ad un rafforzamento delle tendenze oligarchiche in tutte le forme di associazionismo, comprendendo in queste le associazioni religiose, culturali, politiche, che operano nella società con gli scopi più disparati.
Dall'azienda al partito politico, fino ad arrivare all'associazione che persegue scopi benefici o di tutela dei diritti, di gruppi sociali o dell'ambiente naturale, emerge un modello sempre più rigido di governance informale, apparentemente democratico e partecipativo, in cui la partecipazione è subordinata alla sudditanza nei confronti dei responsabili più alti in grado, sudditanza che assume l'aspetto di una omologazione ideologica e personale, piuttosto che normativa.
A mio parere, ma confortato dalle analisi di eminenti sociologi o teorici dell'organizzazione politica (Lenin, Gramsci, Michels..), questa struttura organizzativa viene assunta in quanto congeniale ad una dinamica di scontro e conquista, sia essa economica, politica, di opinione... che contrappone organizzazioni dai diversi e opposti interessi, costrette a formarsi un proprio "esercito" nella lotta per la sopravvivenza contro le altre organizzazioni. Ai membri di questo esercito viene proposta una adesione militante e completa in vista di una fedeltà che non richiede ragioni, come naturalmete si impone al soldato e al seguace. "Credere, obbedire, combattere" è un motto da soldato ma anche da gesuita, da appartenente ad una religione o setta, come spesso da guerrigliero rivoluzionario. In questo modo si divide la minoranza che decide dalla maggioranza che esegue, formando un corpo separato che comunica a senso unico.
Che l'esercito sia così strutturato non stupisce, così come le società che sono sorte affermandosi in guerra le une contro le altre. Il libero mercato ovviamente è una metafora di questo conflitto, tant'è che il liberalismo ha portato con se l'idea della democrazia del conflitto, ovvero degli egoismi coalizzati in interessi condivisi, il cui lo ricordo, vince il più forte.
Insomma, sarebbe a dire che una visione del mondo e della società che abbia questi presupposti è intrinsecamente portatrice di una logica di guerra: gli interessi opposti non possono essere conciliabili e , pena la sconfitta e l'emarginazione sociale, non si può prescindere da questa forma di organizzazione gerarchica. La teoria del partito, in ambito marxista, accetta questa idea dello scontro mortale in vista di una conquista del potere che dovrebbe alfine liberare il popolo tutto. Bisognerebbe quindi sottomettersi alla disciplina del partito e dell'aristocrazia rivoluzionaria, per arrivare un giorno all'emancipazione, obbedire ora per essere liberi un domani.
Risulta altresì chiaro a chiunque che un partito, o un'organizzazione, che rende pubblica così esplicitamente la propria struttura, attualmente non esiste oppure risulta molto fuori moda. Oggi anche l'estrema destra si proclama movimentista e assicura una chiara fede democratica. Non è ora mio interesse sottolineare le incongruenze di un pensiero di destra e autoritario che si proclami democratico.
Mi preoccupa di più sottolineare la mortale contraddizione di una struttura che si proclama democratica e partecipativa, perchè dovrebbe trasformare la società in questo senso, e che non permette al suo interno una dialettica democratica e una reale eguaglianza, riproducendo elitarismo e oligarchia.
L'associazionismo nasce in teoria come unione di più cittadini che rivendicano bisogni condivisi. Nella pratica ogni aggregazione nasce attorno al potere di un ristretto gruppo o di un singolo che si costruisce un piccolo "esercito personale" per combattere in nome dei suoi ideali o interessi. Questa affermazione è dimostrata dalla non sostituibilità dei capi di una organizzazione dalla base dell'organizzazione stessa. Il politico tal dei tali esce dal partito da cui non riesce più a fare strada perchè in disaccordo con il leader e forma un suo partito, così come le varie confessioni protestanti originavano da predicatori dissidenti. Nasce quindi prima il potere del singolo o del gruppo e solo successivamente l'associazione che lo sostiene, il popolo che lo segue. E questo ha molto a che vedere con i costi della politica. La struttura di scambi di favori, appalti pilotati, finanziamenti e progetti, fornisce il materiale che alimenta le clientele che danno potere all'individuo per mettere su la sua associazione, ma ovviamente chiedono in cambio che l'associazione persegua gli interessi di chi gli ha dato i mezzi economici per esistere, e comunque, non lo metta in discussione. Ecco perchè, non mi stancherò mai di ripetere, ogni struttura finanziata da un potere non può rappresentare che una forma di difesa di quel potere.
Veniamo dunque all'aspetto interessante, per me ovviamente. Posto che il mio bisogno sia quello di vivere in una società che non riproduca le dinamiche elitarie ereditate dal patriziato, in cui i cittadini abbiano uguali possibilità di partecipazione alla gestione decisionale riguardo alla cosa pubblica (che quindi è anche loro, no?) e anche nel lavoro partecipino alla gestione della struttura in cui lavorano, perchè non debbano essere soltanto strumenti di un profitto di qualcun'altro, insomma se voglio che la società sia più egualitaria e orizzontale, come posso aderire a strutture che mi richiedono una fedeltà indiscussa e che al loro interno riproducono una dinamica elitaria e conflittuale di difesa di interessi costituiti (che nemmeno sono i miei)?
Forse in modo un poco contorto ho spiegato la crisi della politica e dell'impegno civile in generale... ma anche, se noi tutti siamo abituati da secoli a porci nei confronti della società con due modalità: servi o padroni, come possiamo sperimentare delle forme di socialità in cui siamo qualcos'altro?
Ovviamente è possibile, e tutti noi lo viviamo in quei rapporti più autentici che sono gli affetti e la convivialità disinteressata, ma questa relazione si ferma sulla soglia di qualsiasi gruppo che persegua uno scopo definito. Ergo non dobbiamo avere uno scopo definito.
Di fronte al fine, l'uomo diventa mezzo, l'organizzazione si cristallizza in gerarchia che innalza i tecnici, i professionisti del raggiungimento di uno scopo. Anche Marx osservava nella divisione del lavoro la riproduzione della gerarchia esistente nelle varie classi sociali.
L'attività che propongo quindi non è associativa, non persegue scopi ma invita gli individui a sperimentare relazioni orizzontali che potrebbero essere, in futuro, le relazioni alla base della gestione del bene pubblico. Tutto sta nel rendere queste esperienze costituenti la propria struttura irrinunciabile, che ci potrebbe far rispondere in molti casi: no grazie! alla proposta di aderire a fazioni in lotta per i propri interessi, aziende ultraliberiste, logge massoniche, partiti politici, associazioni culturali e fondazioni, squadre di picchiatori, chiese o club elitari...

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