mercoledì 19 ottobre 2011

Riflessioni sulla rivolta del 15 ottobre 2011

Personaggi: Andrea il giovane psicologo di 38 anni.

Fernando Il grafico di 36.

Arturo il giornalista di 36

Giuseppe l’insegnante precario.

(ANDREA)

Cari ragazzi,

mi chiamo Andrea e ho 38 anni. E per qualcuno sono un giovane.

Avete presente quando il telegiornale vi informa che “Un giovane di 38 anni...” ha fatto una certa cosa?

Ebbene: non è vero che sono giovane. E' falso. E' una spudorata menzogna. E non perché a 38 anni si è già vecchi. Io mi sento in forma, sapete! Non ho acciacchi e mal di schiena, faccio sport e lavoro tutti i giorni con bambini con disabilità che cerco di rendere più autonomi facendoli giocare. Un lavoro meraviglioso! Semplicemente, non sono più giovane, ma un'altra cosa, in una diversa fase della vita, assai bella e interessante, credetemi.

Ma allora, perché mi dicono che sono giovane?

Per una ragione molto semplice. Per scongiurare un pericolo. Allontanare una minaccia. Esorcizzare uno spettro. Quale? Quello della forza!

Perché la forza è la vera e prima proprietà dell'essere giovani.

Della giovinezza. Della gioventù (perdonatemi se parlo come vostra nonna, ma per ora considerate che molto spesso vostra nonna aveva ragione...). La forza è quella spinta vitale che produce cambiamento e che si forma, cresce e si concentra al suo vertice intorno ai 20-25 anni della vita di un essere umano. Poi, inevitabilmente e naturalmente, decresce, si attenua, lasciando spazio ad altri attributi.

Allora, è chiaro che se qualcuno mi convince che a 38 anni sono giovane, quando non lo sono più, costui potrà dormire sonni tranquilli.

Ed è chiaro che se questo qualcuno vi convince che a 20 anni siete ancora troppo giovani (cioè che non lo siete abbastanza), quando non è vero, e che dovete mostrarvi disciplinati, obbedienti, in fondo incapaci di prendere decisioni autonome, tutto sommato dei bamboccioni attaccati alla gonna di mamma e al portafoglio di papà, costui potrà dormire sonni tranquilli.

Un colpo al cerchio e uno alla botte. Un capolavoro d'astuzia. Attribuire un'identità fasulla a chi non ce l'ha più per fargli credere che è ancora forte. E negare l'identità reale a chi ce l'ha per scongiurare l'uso della sua propria forza.

Nel frattempo costoro continueranno a decidere per voi, per me e per tutti. E a ciò, naturalmente, non ci sono alternative. Sarà del tutto normale trovare un lavoro sottopagato e non potersi concedere il lusso di ammalarsi perché così si perde denaro. Non ci sarà altra soluzione al comprare una casa dovendo lasciare buona parte del proprio reddito alle banche per tutta la vita lavorativa. Sarà inevitabile prendere una pensione da fame dopo aver versato per 40 anni quattro soldi di contributi. E sarà assolutamente necessario tagliare i costi dello stato sociale anche se un quinto della popolazione vi ricorre senza pagare le tasse. E così via.

Tutto ciò si basa su una gigantesca menzogna.

Ma ce n'è un'altra, ben più grande e su cui poggia tutto il resto. Una menzogna tacita, silenziosa, subdola e strategica.

Quella che non esiste il potere. Avete mai sentito usare questa parola negli ultimi 15 anni? Da politici, industriali, giornalisti, intellettuali? Potere. Sarà forse uscito di moda, un vecchio arnese del passato incapace di farci comprendere l'era globale? E meno male, visti i disagi che può arrecare a chi manovra e decide per tutti in santa pace.

E invece il potere c'è. Ed è sempre esistito. E sempre esisterà. Perché non è una cosa bella o brutta. E' una cosa reale. Il potere è una proprietà delle relazioni umane per la quale qualcuno condiziona e limita le scelte e la libertà di qualcun'altro per ottenere il massimo vantaggio. E il bello è che tutti vi siamo immersi fino al collo! Chi subendolo, chi esercitandolo, talvolta anche a fin di bene. Cosè che vi fa uscire da un incontro con quella ineffabile sensazione di disagio che vi rende meno liberi? Il potere! Cos'è che fa sì che vi dovrete sbattere dalla mattina alla sera per tutta la vita per racimolare qualche briciola mentre qualcuno si arricchisce alle vostre spalle? Il potere! E cos'è che vi descrive come una massa di sfaccendati potenzialmente pericolosi per l'ordine pubblico quando decidete di spezzare le catene? Sempre il potere!

E allora studiate, ragazzi. Studiate il concetto di potere. Cercate in libreria, in biblioteca, su Internet, formate gruppi di studio, scomodate a calci nel sedere qualche annoiato professore universitario, recuperate l'enorme massa di conoscenza critica che da secoli contesta il potere e che da 25 anni chi oggi comanda ha deciso di escludere dal dibattito e persino dal vocabolario. Imparate ad osservare il mondo in termini di rapporti di potere.

Perché chi oggi ha potere non ha forza e solo attraverso la menzogna, la manipolazione delle parole e del linguaggio riesce a comandare. E chi ha forza ma non potere è destinato ad essere sconfitto. Per questo il potere va conquistato. E per conquistarlo bisogna conoscerlo, comprenderne la natura, i modi in cui appare e, soprattutto, quelli con cui si nasconde, capire come sfruttarlo per rimuovere i parassiti, quella gerontocrazia nauseabonda che ha già deciso il destino di tutti e che prolifera sulle risorse di tutti.

Vi diranno che siete comunisti. Andate avanti.

Vi diranno che siete irresponsabili. Andate avanti.

Cercheranno di comprarvi il silenzio e la collaborazione. Andate avanti.

Proveranno a riportarvi alla ragione. Andate avanti.

Vi diranno, alla fine, stanchi e decrepiti, che così non si può più andare avanti.

Allora avrete vinto voi. E il mondo comincerà a girare in un altro verso.

Grazie anche a nome di chi non ha la forza di indignarsi.

(ARTURO)

Ciao Fernando,

Leggere gli eventi non è mai semplice. Penso che lo sforzo interpretativo di quello che è stato sabato è tutto postumo, e chi ha delle responsabilità negli scontri ora si affanna a dare un senso a un corto circuito che probabilmente gli è anche sfuggito di mano.

“Responsabilità” è un altro concetto che andrebbe studiato. C’è un sistema economico responsabile di questo presente, una politica responsabile della scollatura profonda di questo paese. Non esiste più, se mai è esistita, la condivisione di quei punti fondanti che danno un senso e un minimo di agibilità per vivere in collettività. Penso alla scuola, ai racconti inquietanti di Giuseppe alle prese con gli studenti delle periferie; agli ospedali, alla corruzione di bassissimo rango delle amministrazioni, all’abbrutimento generale nei rapporti tra le persone, al fatto che anche nei movimenti (al corteo c’erano 58 sigle) ognuno insegue più la propria visibilità e il proprio infimo fazzoletto di “potere” (e in questo ci metto pure i “tafferugliatori”), piuttosto che condividere una strategia, oltre che una piazza. In questo quadro sconfortante si sono inserite le formazioni a testuggine, che si sono prese le strade e si sono tolte la grande soddisfazione di fargliela vedere. A chi? Al governo? Al fondo monetario internazionale? Alla Bce? Sai quanto gli trema il culo? Alla fine hanno preso più pizze polizia, carabinieri, fiamme gialle & company che non i “responsabili” degli scontri. Che oggi piangono fiumi di risentimento per le perquise e 12 arresti. E si giustificano dietro lo spettro di una crisi che davvero fa paura. Qualche “responsabilità” dovrebbero prendersela anche loro. Prima tra tutte quella di potersi palesare solo nel ventre di un corteo, che per quanto triste ed “educato” alla fine non ha potuto esprimere nemmeno quel poco che aveva da offrire. Hanno azzittito tutti, anche chi magari avrebbe avuto qualcosa da dire. Ha ragione il tipo, non siamo l’Olanda, siamo la Grecia. E se i 20enni italiani non hanno futuro, non sono gli unici. I 30 enni sono sfiancati, è tutto vero. Ma non riesco a vederci niente altro che un’espressione di impotenza, di assenza di prospettive anche positive, di fantasia, di preparazione culturale. E anche di questo c’è una “responsabilità” politica, non solo della classe dirigente, ma di chi insegna, della generazione che ci ha preceduti, di come ha vissuto e di quanto si è rassegnata... insomma è una catena. Chi ha passato il pomeriggio a fare scontri non si può meravigliare se ora gli cala dall’alto l’apparato repressivo. Perché si è fermato al livello più basso dello scontro. Ha giocato a guardie e ladri, lo ha fatto con una determinazione militare più spietata ma non è andato oltre e ora forse rifiuta di specchiarsi nella propria povertà di idee. Rido quando leggo sui blog che la polizia ha caricato, come se fosse una cosa aberrante. Volevate fare la guerra? E non ve la volete prendere qualche “responsabilità”, se ora vi fanno il culo? Non lo avete scelto voi questo terreno? Il plauso tuo e di altri amici, mi sembrano lo sfogo di chi non tirerebbe mai un sampietrino contro una camionetta (non oggi almeno), e giustifica la sua frustrazione perché qualcun altro lo ha fatto al posto suo. E poi davvero, non sono le guardie il mio problema. Non è con loro che mi interessa ingaggiare la battaglia. Così come non è con “er pelliccia” o con i suoi coetanei che ho qualcosa da spartire. E oggi il dibattito si è spostato sulla legge reale bis.

A prestissimo.

Tanto lo so che non finisce qui...

(FERNANDO)

caro Arturo, dopo tanti link ora ti scrivo quello che penso io.

Questa è una discussione partita da un'affermazione che mi aveva molto stupito: ovvero che finalmente i giornali dessero un'interpretazione realistica dei fatti del 15, (leggendo nientemeno che il Messaggero). Che si distingua fra buoni e cattivi non mi sembra un progresso ma l'inizio di un processo sommario ad ogni forma di estraneità. Questo è quello che ho malamente cercato di dirvi, l'altro giorno. E sentire un intero paese - dai delinquenti professionali ai salvatori del mondo - chiedere la forca per una macchina incendiata mi fa schifo. E' chiaro il concetto? Il fatto che la situazione sia sfuggita di mano anche alle sigle politiche, comprese quelle antagoniste, invece mi è sembrato l'unico reale messaggio politico (positivo o negativo fai tu) espresso dalla manifestazione. Vuol dire che forse esiste uno spiraglio per uscire dall'omologazione e la politicizzazione sclerotica che caratterizza questo paese. Ti ripeto, la manifestazione pacifica mi era sembrata una palude: triste forse proprio nel suo cercare di essere rassicurante, di piacere a tutti, di coprire con musichette e colori un vuoto d'iniziativa pauroso. I non colpevoli, i "buoni" possono parlare quanto vogliono, quella che manca è proprio una vera iniziativa nonviolenta, perché, secondo me, nessuno ha l'interesse di farsene carico: se invece di andare con i saltimbanchi a San Giovanni centomila persone avessero deciso di comune accordo di girare i tacchi e andare a Montecitorio secondo te cosa sarebbe successo? Una rivoluzione nessuno la vuole, nemmeno tu; ancora ci sono troppe rendite di posizione da sfruttare. In tutto questo però esiste una sofferenza sociale, economica ma pure psicologica, che ha approfittato delle cosiddette "azioni", per prendersi il proprio spazio, in modo autoreferenziale ma fattivo. Con la violenza. Ma bada, io non ho visto una violenza indiscriminata, infame; la violenza è sempre sgradevole si sa; ma quella che io ho visto è stata rivolta verso le cose, i simboli… Per questo lo scandalo mi dà ancora più fastidio, perché traspare il culto del feticcio come tara sociale, e un sottile disprezzo per le persone: i cassonetti bruciati, le macchine bruciate… e tutti a piangere; le vetrine delle banche sfondate, la madonnina, sacrilegio! Cosa penseranno tutti? La caserma (abbandonata)! Da sei mesi (175 giorni) da questo paese partono aerei che sparano razzi e bombe ad alto potenziale a casa d'altri ma la caserma non si tocca, il camioncino dei carabinieri è sacro: eppure quel coglione che ci stava sopra, e che che fino a un minuto prima girava come una trottola in mezzo alle persone non mi pare sia stato aggredito, se ne è andato e basta: io, almeno a lui, un calcio in culo forse glielo avrei dato. Se pensi a quello che è concretamente accaduto, vedi come tutto questo inferno si ridimensiona: scontri di piazza (onestamente non proprio feroci rispetto a quelli di Londra ad es.) durante una manifestazione di protesta. E allora? Forse sarebbe meglio che non esistessero gli scontri di piazza, le guerre, i litigi, le discordie; ma la pretesa di voler normalizzare tutto a norma di legge è a mio avviso l'unico dato davvero allarmante di questa vicenda. E ancor più allarmante è che a sostenere questa normalizzazione siano moltissimi indignati, manifestanti, alternativi: in mancanza di un'elaborazione politica riversano il loro veleno sul ragazzo che brucia la macchina, ma sono molto più moderati con lo stato, con la banca, con le autorità: perché di fatto ne dipendono e, spaventati dalla crisi, sanno solo chiedere protezione.

Quanto all'idea che gli scontri avrebbero impedito a qualcuno di esprimersi… a chi? Alla CGIL, a SEL, al popolo viola, all'ARCI insomma al centrosinistra (il regista della manifestazione)… ahahahahaha. Questi si esprimono ovunque ogni giorno; manifestano, stanno in televisione, alla radio, hanno soldi e risorse logistiche per esprimersi come e quanto gli pare per 365 giorni l'anno. O forse non si è potuto esprimere Arturo che sarebbe andato a fare la gita in montagna? La gente del corteo non può realmente esprimersi perché in realtà non ha nulla da sostenere, se non l'idea, falsa, di essere meglio di qualcun altro. Le poche realtà che hanno fatto politica - mobilitazione su obiettivi concreti - in questi anni (come i no-Tav) non a caso hanno espresso un'idea alternativa sugli scontri.

Tu dici che intellettualizzo troppo la figura del manifestante; non mi sembra: non pensare che io vedo "un soggetto poilitico in aggregazione" come nei comunicati dei gruppuscoli comunisti che, secondo te, mi dovrebbero interessare. Io ho visto solo ragazzi molto giovani che in mancanza d'altro fanno quello che credono, danno sfogo al loro testosterone, alla loro vitalità, magari aggregandosi alle azioni di qualche gruppetto ma senza esserne fagocitati e diretti. Se vuoi insegnargli che c'è qualcosa di meglio ti devi guadagnare sul campo la tua autorità; io non me la sento di condannarli, soprattutto in un paese dove si vive sotto una cappa di depressione e malcontento cronici imposto dalle nostre generazioni (non quelle del passato, dalle nostre!). Mi stupisce l'idea che noi non avremmo nulla a che spartire con er pelliccia (o chi per lui). Se non ti vuoi assumere la responsabilità di rappresentare un'alternativa, tu che hai quasi 40 anni, almeno non giudicare troppo.

Non capisco quando parli di vittimismo. Allora si potrebbe parlare di vittimismo della polizia quando dichiara decine di agenti feriti. E' insieme una forma di propaganda e di autodifesa di gruppo, e allora? Tu hai gli strumenti per non vedere le cose in modo infantile (per la serie: volete la guerra? e guerra avrete!)

Concludo con una considerazione: è vero, difficile che io lanci un sampietrino; ma ti dirò di più, io sono uno che rispetta maniacalmente tante regole di educazione civica che hanno poco valore per molti cittadini indignati e non violenti, per non parlare della massa degli italiani. Non credo di sbagliare: perché la retorica della punizione che imperversa in questi giorni è figlia di gente che cerca esclusivamente la propria convenienza e comodità nelle tante piccole cose della vita quotidiana. Io parto solo da questo nella mia analisi, che spesso è auto-analisi: e so che incendiare un cassonetto può essere una paradossale dimostrazione d'amore rispetto all'abulia dei "salvatori del mondo", o peggio ancora dell'indifferenza.

Ahah è vero, non finisce qui!

f.

(ARTURO)

Ehilà, Mentre ti scrivo scorrono le notizie sulla Grecia, e quello che sostieni sembra acquisire un senso... In Grecia, appunto, dove uno sciopero generale bloccherà un intero paese per 48 ore, dove l’assalto non è alla camionetta della polizia, ma ai palazzi del potere, dove l’esasperazione ha tracimato e ha travolto tutti. Poi si potrebbe discutere di come in quella nazione per decenni sia stata foraggiata una pubblica amministrazione ipertrofica quanto inefficiente, una spesa pubblica al di là di ogni possibile immaginazione, un sistema sanitario tra i peggiori d’europa (e tra i più costosi) un’istruzione che lèvate, ecc. Un sistema che fino a ieri ha fatto comodo a tanti (una classe di statali oltre le 300 mila unità!), un’economia inesistente, fino al brusco risveglio di qualche mese fa. Ma tutto questo ha un senso, è terribilmente serio.

Comunque: Non è leggendo nientemeno che il Messaggero che mi faccio un’opinione, in piazza c’ero anche io. Magari mi ha aiutato anche leggere l’intervista a uno dei protagonisti degli scontri su un altro giornale, parlare con te, con altri colleghi, con chi è andato il giorno dopo all’Acrobax, scorrere i blog. Forse hai ragione tu sui giornali, e forse farebbero bene quelli che nel loro atto d’amore vorrebbero bastonare anche i giornalisti che non li comprendono e che non li difendono (di gogne nei confronti della categoria, sui blog ce ne sono a decine). Anzi, visto che ci siamo perché non chiuderli i giornali, servi del potere? Sono un simbolo, no? In quello che ti ho scritto non ho fatto alcun riferimento alle auto bruciate, alle madonnine, alla caserma, alle banche o alle vetrine. Perché, per quanto ingenui, sono assalti a dei feticci, come dici tu. Questa cosa la penso anche io. Non mi scandalizza, c’è sempre stata (e infatti è vecchia) e non mi dice granchè. Ma forse sono più dei totem per chi li ha distrutti che per tanta altra gente, che li vede come dei mezzi, qualcosa di strumentale più che di ideologico. A me del Suv non frega un cazzo, se ho un’auto la uso per spostarmi, il bancomat mi serve per sostentarmi, uno sbirro per denunciare tre stronzi naziskin, che sono stati rinviati a giudizio (ma forse nel mondo che verrà, anziché i tribunali simbolo dello Stato autoritario ci saranno le faide e gli agguati sotto casa per fare giustizia). Lo sai che gli operai di Fincantieri a Sestri Ponente forse potranno dar da mangiare ai loro figli per i prossimi tre anni grazie alle commesse sulle navi militari che il governo sta per firmare? È brutto, ma glielo dici tu che devono fare picchetto e incrociare le braccia perché le portaerei sono uno strumento di morte? La differenza per me non è tra salvatori del mondo e violenti Fernando, ma tra adulti e adolescenti. Non escludo che da qui a qualche anno dovremo fare tutti i conti con modi di vivere molto diversi da quello attuale. E magari sarà davvero una liberazione, ma ti ripeto che quello che ho visto per me è stato il ritratto di una generazione frustrata, egoista e con dei riferimenti rozzi. Io non divido il mondo in buoni e cattivi più di quanto non lo facciano altri, compresi i tizi di cui stiamo parlando, che della complessità delle cose e delle relazioni secondo me se ne strafottono. Per te sarà una cosa buona, per me no. Il coglione che guidava a zig zag la camionetta è stato operato a un occhio, ha il naso rotto e una frattura allo zigomo, ma tu questo non lo hai letto perché lo stronzo, a differenza delle “avanguardie” che invece lo hanno aggredito, purtroppo ha questo ruolo in questo mondo, e non ha fatto un fiato. E magari ha avuto meno opportunità di scegliere sul proprio futuro rispetto a te o a me. Quando leggo che er pelliccia ha belato la scusa che voleva spegnere un incendio, trovo conferma alla pochezza sua e degli altri come lui. Almeno un po’ di coraggio, no?

Ogni evento è un caso a sé, Fernando. I No Tav non lottano contro un simbolo, al contrario. Non vogliono un ecomostro inutile nella loro valle, che difendono con i denti. Ci sono giornalisti che li bollano come pochi “facinorosi” estranei al territorio, altri che avvertono quanto la lotta sia diffusa e sostenuta. E infatti tra i no tav ci sono sindaci e assessori, contadini e professori del Politecnico di Torino. Se non sei stupido dovresti capire che qualche differenza sostanziale tra la Val Susa e piazza San Giovanni forse c’è. Ha avuto senso Roma messa a ferro e fuoco con le caserme assaltate quando Gabriele Sandri è stato ammazzato da Spaccarotella. Ha avuto senso la battaglia della sorella di Stefano Cucchi, e il lavoro dei blog e della stampa, se oggi ci sono tre secondini e tre medici indagati. Ha avuto senso solo per il fatto che oggi esiste una verità storica su quello che è successo, prima ancora che giudiziaria. E ha unito persone al di là delle loro appartenenze.

Io non mi sento un’anima bella. Non ho mai giocato a fare il leaderino e se mi conosci sai che sono sempre stato allergico alle assemblee estenuanti su questo e su quello. Penso al contrario che la nostra generazione e ancor più quelle che si sono succedute, al di là delle belle intenzioni e delle forme aggregative ricalcate su schemi e liturgie sclerotizzate da 40 anni (e in questo c’entri anche tu), sia stata educata all’individualismo. Nel lavoro, nei rapporti di prossimità, nelle appartenenze sempre più microscopiche. E gli scontri di sabato, così come la stessa manifestazione nella sua interezza, per me ne sono l’esatta fotografia. Non ho particolari posizioni di rendita da difendere, non mi faccio illusioni. La crisi potrebbe far saltare il posto di lavoro in un battito di ciglia. Quel poco che ho non me lo ha regalato nessuno: non sono figlio di giornalisti, non ho mai lavorato con l’aiuto di parenti vicini o lontani e non mi sento di fare il rivoluzionario. È già abbastanza eroico cercare di campare onestamente in un mondo di pescecani. Non escludo che questa crisi possa finalmente essere un detonatore formidabile per ripensare il mondo, che possa parlare a tutti, che possa rovesciare rapporti di potere logori, scandalosi. Se mai tirerò dei sassi a qualcuno, preferirei fosse un individuo davvero responsabile dello scempio che si è creato, talmente indifendibile da non avere nemmeno il solito diaframma di celerini a fargli da scudo, anzi... E non finisce qui!

GIUSEPPE

Il 16 Ottobre Eugenio Scalfari, dal pulpito della sua Repubblica, condannava gli scontri e diceva in pratica che le frange dei violenti avevano egemonizzato una pacifica e ampia manifestazione di indignati. Dopodichè confermava la nascita di "un movimento internazionale" la cui "antivigilia è stata la primavera araba, come sono stati definiti i moti di piazza qualche mese fa al Cairo e poi a Tunisi e a Bengasi, senza scordare le sommosse del 2008 e del 2010 nelle Banlieau parigine".

Questa "primavera araba", lo ricorderei, ha portato al prezzo di centinaia di morti a piazza Tahrir, un altro centinaio in Tunisia e migliaia in Libia, ad un colpo di stato militare in Egitto, ad un governo costituente in Tunisia e alla guerra civile in Libia che ancora si combatte. A parte il ruolo di servizi segreti e militari operanti in questi paesi, che ovviamente sono alla base di cambi di regime così repentini, a mio modesto parere, il popolo ha avuto un ruolo da protagonista.

Attenzione, Scalfari non ha parlato di Occupy Wall Street o degli Indignados spagnoli... ha parlato delle rivoluzioni nel magreb e delle banlieau parigine, dove lo ricordiamo, migliaia di macchine vennero bruciate assieme ad alcuni edifici pubblici da ragazzi poco più che adolescenti. Insomma di espressioni di rivolta molto violente, molto più violente di quelle di Roma.

Scalfari, gli si può dir tutto ma non è certo un comunista, tantomeno un ingenuo. Se parla così sulla prima pagina di Repubblica (che poi darà ampio spazio agli scontri, anzi diciamo che darà spazio solo a quelli) ci sta dicendo qualcosa.

Ci sta dicendo forse, con linguaggio politico a cui non siamo più abituati, che i regimi si abbattono con le rivolte violente, non con le manifestazioni pacifiche. Lo diceva anche il nostro padre della patria Mazzini, che anche lui non era certo un comunista. E a qualcuno risulta forse che Giuseppe Garibaldi fosse un non violento?

Scalfari ci suggerisce che l'anomalia Italiana della dittatura a bassa intensità, della censura, della gerontocrazia partitocratica non se ne andranno da sole perchè i potenti hanno capito che il loro tempo è finito. Useranno tutto il loro potere mediatico, politico e militare per rimanere al loro posto.

Noi non abbiamo bisogno di qualche hippie con la faccia pitturata che contesta il nostro sistema economico perchè ingiusto, ci serve il popolo nelle piazze, i giovani qualunque, quelli che non hanno nessuna preparazione politica, tutti, di destra e di sinistra e soprattutto quelli che della politica non si sono mai interessati, e ci servono nelle strade a fare paura. A far rinchiudere i potenti nei loro palazzi, a non farli girare per Roma nelle loro autoblu senza rischiare un linciaggio. Perchè loro (e anche noi d'altronde) si sono rotti le palle di non avere un futuro, e non sono indignati, sono incazzati neri.

Intanto i giovani che fanno politica sui social network, i cinquantenni del PD e i pensionati della CGIL non fanno paura a nessuno tantomeno ad un nano pelato che possiede mezza italia.

Insomma con il buon Scalfari, che è un profondo conoscitore della storia moderna e della nostra Italia repubblicana, mi augurerei che la Massoneria tornasse in questo 150enario dall'unità a riempire le piazze di cospiratori per la libertà piuttosto che i consigli di amministrazione di aziende controllate e istituti di credito. Insomma mi augurerei che il berlusconismo fosse finito o lo facessimo finire noi.

Re: R: Giovedi pioggia

Quello che vorrei farvi notare (e il mio intervento puntava in quel senso) è che scendere nel merito: i violenti fanno bene - i violenti fanno male, questa è una protesta efficace o no, i manifestanti, in genere , violenti o meno, esprimono contenuti validi o meno.... è di secondaria importanza. Ciò che è importante è che certi fatti si siano verificati. Questo è un fatto. Il 68 in italia è iniziato a valle giulia in cui in strane circostanze studenti e fascisti insieme hanno picchiato la polizia. Quali erano i contenuti che esprimevano? Sti cazzi. Il 68 è stato un cambio di paradigma culturale che ha inaugurato la società dei consumi. I capelloni erano spesso bamboccioni egoisti che ne sapevano loro di quello che il 68 avrebbe portato? Si riempivano la bocca di slogan che ora fanno sorridere ma oggi sono nei palazzi e nei centri del potere come ancora a capo della sinistra antagonista. I leader del movimento di oggi saranno probabilmente i leader della politica di domani. Penso che è nostro dovere di teste pensanti entrare in contatto con questi movimenti e contribuire a crearli questi contenuti, a far crescere il movimento, non restare a casa e giudicarlo.

Siamo alle soglie di un'epoca. Vogliamo aspettare che qualcun'altro ci costruisca un nuovo futuro? E chi, I vecchi politicanti o i giovani teppistelli?

Come diceva Andrea, non siamo più giovani. Abbiamo visto cose... che ci hanno disillusi, non siamo ingenui burattini nelle mani di qualche leaderino, be non lasciamo il campo ai leaderini che dimostrano a volte anche una certa incapacità. Purtroppo sappiamo come si diventa leader del movimento, basta volerlo, impegnarsi tanto, e spesso chi lo vuole non ha le capacità per farlo. Chi ne ha le capacità, poi salta sul carro del vincitore che gli garantisce un posto in parlamento. Tutti sti portavoce, presidenti e responsabili nazionali di associazioni che hanno fatto loro. Che parlano a nome di 4 gatti in croce.. chi li ha mai scelti e votati...chi rappresentano?

Facciamoci avanti e condividiamo le nostre riflessioni. Scriviamo su blog e riviste, parliamo con le persone che incrociamo. Diffondiamo liberazione....!!!

Ho visto buone energie nelle nuove occupazioni dell' ex cinema palazzo, teatro valle, generazione precaria, Acrobax, gli autoconvocati della CGIL, la casa del popolo di torpignattara, il fusolab, Esc (anche se Raparelli si sente il nipotino di Negri), san precario. Mi interessano pure gli indignati (accampados di piazza santa croce in G) con la loro democrazia diretta, voglio andare a vedere anche se pare che facciano cascare le palle.

(ANDREA)

Io provo a ragionare nel modo seguente, che propongo schematicamente per non scrivere un romanzo.

Occorre evitare un approccio etico, che confonde i termini e polarizza le idee in termini assoluti.

Occorre partire da una descrizione dei fenomeni, sottolineandone le ricadute pratiche e di utilità.

UN ASSESSMENT STORICO-CULTURALE

  • Il corteo del 15 è uno specchio fedele della società italiana dei nostri tempi, delle sue risorse e delle sue sofferenze. Tutti, anche chi spacca tutto, rappresentano in quel luogo realtà più estese presenti sul territorio. Le impressioni di Fernando sono condivisibili e non casuali: la manifestazione era la sommatoria incoerente e frammentaria di gruppi più o meno numerosi accomunati da un generico senso di indignazione. In esso trovano perciò spazio le più svariate forme di protesta e rivendicazione: dai pacifisti ai black-block; dai disabili intellettivi ai dottorandi; da chi reclama prospettive lavorative a chi difende la pensione.
  • I nostri tempi, non solo italiani, sono quelli della “fine delle grandi narrazioni” e della “società liquida” (vedi gli studi sulla post-modernità di Lyotard e di Bauman). L’elemento nuovo e pervasivo dei nostri tempi è l’assenza di un paradigma unitario alternativo che veicoli la lettura degli eventi sociali sotto un’unica lente d’ingrandimento. Si potevano un tempo individuare 4 tradizioni politico-culturali: liberalismo, socialismo, cattolicesimo e, in modo minoritario ma presente, anarchismo. Ognuna di esse aveva un quadro di riferimento stabile, un sistema di valori e un linguaggio che forniva griglie interpretative. Tutto questo, oggi, è andato in crisi e non fornisce più alcun paradigma. Così le esperienze stentano a tradursi in significati condivisibili, durano il tempo della loro manifestazione, non lasciano memoria, sono prive di un baricentro
  • Inoltre, le nuove generazioni (i cosiddetti giovani) sono giunti a maturità in condizioni di totale scollamento con le generazioni precedenti. Una volta, anche quando i figli si ribellavano all’autorità paterna (l’ultima volta è stato il ’68), qualcuno offriva loro punti di riferimento, anche del passato, su cui costruire un’identità alternativa: i contestatori degli anni ’60 e ’70 si nutrivano dei teorici dei decenni precedenti e ne sviluppavano il discorso. Oggi, i padri hanno omesso la trasmissione di saperi, valori, abitudini ai loro figli (non solo i padri biologici, ma gli insegnanti, gli intellettuali, i docenti universitari). Ieri parlavo con una mia cara amica e collega, che mi raccontava come nel 1994, alla vittoria di Berlusconi, lei aveva 12 anni e suo padre, che faceva politica a livello locale a Bari, era incazzatissimo. Tuttavia, ne’ lui, ne’ nessun altro, ha spiegato e fatto comprendere a sua figlia, ne’ allora, ne’ dopo, il significato di quella incazzatura.
  • Questi due macro fattori, frammentazione del sapere e interruzione generazionale, hanno creato una voragine esistenziale, che è stata riempita in modo bulimico dai prodotti marci dell’unica ideologia rimasta: il liberismo. Solo che il liberismo non si è diffuso capillarmente a partire dal piano teorico, ma facendo leva sui suoi prodotti materiali e attraverso di essi ha veicolato nuovi significati, acquisiti in modo dogmatico: competitività, flessibilità, crescita, consumo. Chi poi, a sinistra, ha criticato tali parole d’ordine, è lo stesso che nel contempo operava per rimuovere quelle tradizioni teoriche che fornivano una base alla critica!!!
  • La sofferenza sociale di oggi è dunque priva degli strumenti concettuali per essere elaborata e per questo, si aggrappa disperatamente all’unico argomento comprensibile e condivisibile al senso comune: lo scandalo. L’unico metro di giudizio che si adopera è quello della distanza tra come il sistema dice di voler funzionare e come realmente funziona. Tale deviazione viene espressa in termini morali, cioè nella declinazione onestà vs disonestà. Questa è la ragione del grande successo di personaggi come Di Pietro e Travaglio, entrambi accomunati dal fatto di essere fustigatori dei costumi corrotti e degli abusi di potere. Ma questo approccio, essenzialmente, non mina il funzionamento della macchina. Paradossalmente, lamenta il fatto che essa non funziona sufficientemente bene!

UN INTERVENTO PRATICO-PEDAGOGICO

Affrontare tale situazione richiede 3 azioni politiche fondamentali:

  1. Recuperare i pezzi di una tradizione teorico-critica esistente, ma ferma a 25 anni fa, per sviluppare un discorso aggiornato all’età contemporanea, con parole e concetti nuovi. Ciò al fine di definire un paradigma di riferimento alternativo attorno al quale organizzare le molteplici forme della protesta, escludendo quelle disfunzionali (chi spacca tutto), ma anche lasciando sullo sfondo chi si accontenta di passeggiare nei cortei con girotondi, musica, balli e tanti fiori colorati. Un punto di partenza interessante potrebbe essere il concetto di bene comune (Mattei e Rodotà).
  2. Agire nella dimensione della frammentazione sociale a partire da realtà locali e piccoli gruppi, lavorando al contempo nella direzione della ricomposizione comunicando in rete le rispettive esperienze. Ognuno dovrebbe insistere nel proprio ambito di competenza, facendo avanzare soluzioni inclusive delle marginalità e sottolineando il contributo di ciascuno alla realizzazione di un progetto comune. Ad esempio: se io lavoro nella disabilità, agisco per promuovere progetti di attività e partecipazione di persone con disabilità, tenendo sempre presente la dimensione integrata con il resto della società e dimostrando sul piano empirico, non solo teorico, i benefici che tale opzione procura a tutti, non solo ai disabili. Soprattutto, in tali contesti, contrastare il vittimismo e recuperare l’idea del conflitto potenziale tra i propri interessi e bisogni e quelli di altre strutture sociali presenti, nonché l’opportunità e la legittimità di agire in modo ostile per far valere i primi sui secondi.
  3. Promuovere, sul piano generale e sistemico, azioni che mettano in crisi il sistema nelle sue fondamenta. Qui il discorso è più complesso, ma un’ipotesi potrebbe essere quella di intervenire direttamente sulle grandi banche chiudendo i conti correnti, a favore dei piccoli istituti di credito. Altre soluzioni andrebbero studiate.

TEMPI DI REALIZZAZIONE E CAMBIAMENTO

Data la miseria da cui si parte, naturalmente, potrebbero volerci anni!

Ma l’obiettivo non è un’astratta o fantasiosa rivoluzione. Bensì la costruzione di percorsi multipli che operino, nel breve periodo, per il loro stesso mantenimento, nel medio per la loro diffusione capillare e nel lungo per un cambio di registro complessivo della società.

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