lunedì 6 luglio 2009

Lavoro cooperativo in politica. COXSA?

Ho trovato un simpatico articolo su POSSE sull'organizzazione aziendale della militanza rivoluzionaria negli USA.... potremmo prenderlo in considerazione per i nostri incontri, che dite?

http://www.posseweb.net/spip.php?article150 di Stefano Sensi

Cambiare le regole del gioco?
Qui da noi, negli US, le cose, sotto il profilo organizzativo sembrano funzionare un po’ meglio. Senza perderci in quelle che possano essere le matrici filosofiche/ideologiche della questione, i compagni non sono solo, di fatto, più pragmatici e fattivi, ma anche più motivati. Il modello organizzativo più diffuso, il consensus model *, decisamente aiuta. La partecipazione é sentita, la leadership é realmente condivisa. Si fa largo uso della rotazione e si evitano pericolose cristallizzazioni del potere decisionale nelle mani di pochi. Quando ci si riunisce lo si fa con dei goals organizzativi da raggiungere e di solito, at the end of the day, gli obiettivi vengono conseguiti. Ben pochi di noi fanno politica a tempo pieno. Molti hanno lavoro, figli, famiglie a/da cui rubano/liberano tempo. Nelle poche ore in cui si vede settimanalmente, é imperativo riuscire a fare il più possibile. La discussione é intensa ma fortemente contingentata, ma il momento della riflessione filosofica e, perchè no, ideologica é spesso separato. Quando si vuole mettere sul tavolo questioni che più squisitamente interessano il quid ontologico del nostro agire si sceglie di farlo con altri formati, spesso più gioiosi, come per esempio lunghe, interminabili queste sì, serate/notti a casa di qualche compagno. Ma come funziona il consensus model? Attraverso il consenso, il gruppo lavora sulle proprie differenze, lima i contrasti, cerca di raggiungere una posizione reciprocamente soddisfacente e che sia soprattutto la reale espressione di un sentire comune. La partecipazione é incoraggiata, ogni compagno viene invitato a proporre/modificare/interagire. Si evita che una singola persona o un sottogruppo tengano in ostaggio il gruppo intero. Si incoraggia l’espressione di differenti soggettività e si rimuove quel così frequente senso di alienazione, rispetto alle decisioni prese, che caratterizza modelli assembleari in cui si decide tramite votazione. Si produce, una forte responsabilizzazione dei singoli individui e, soprattutto, si incentiva una forte determinazione da parte di tutti ad implementare le decisioni prese, in quanto sentite come “proprie”. Come ci si organizza? Alcuni ruoli chiave garantiscono il funzionamento di riunioni e assemblee. A rotazione, punto assai critico, questi ruoli vengono esercitati da ogni partecipante. Il facilitator favorisce l’interazione fra le persone e disincaglia la discussione laddove questa si areni su issues che sono off topic. Fondamentale é che il facilitator non eserciti nessun controllo su quelli che sono i contenuti delle discussioni ma coordini soltanto lo svolgimento delle “danze”. Un maestro di cerimonie, insomma, che agisce in maniera “metasistemica” facendo in modo che le temporanee e sempre mutevoli /interazioni/alleanze/collisioni che si vengono a creare fra i vari sottosistemi non portino alla distruzione del “sistema” meeting ma vengano, al contrario, armonizzate e convogliate al raggiungimento di un obiettivo comune. Altro ruolo di cruciale importanza é quello del note taker che verbalizza quanto avviene durante la riunione e permette un’analisi, a posteriori e “a freddo”, di come si sia articolata la discussione e di quali dinamiche personali e di gruppo abbiano attraversato il meeting. Il time keeper fa si che i tempi dei singoli interventi, così come il tempo dedicato ai singoli topics in agenda, vengano rispettati. C’é infine un vibes-watcher, una sorta di “termometro”, del gruppo che aiuta il facilitator nel valutare quali siano gli umori generali del gruppo ed individua possibili aree problematiche. I vibes-watchers pongono particolare attenzione, per esempio, a che discussione e processi decisionali siano gender balanced assicurando una partecipazione paritaria. Un aspetto questo che, in Italia, mi pare quanto mai critico visto l’ancor troppo frequente monopolio maschile.

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