scusatemi se vi ho fatto aspettare tanto, ma non è stato facile ambientarsi e regolarizzare un po’ le attività. Appena arrivato mi sono sentito in un luogo familiare: riconoscevo i luoghi e le abitudini, gli odori e gli scorci di Recife. Ma non mi ha preso quell’entusiasmo maniacale tipico degli italiani all’estero: ero particolarmente stanco –registrare il disco mi ha stressato- e quindi Giuliano mi ha portato dopo neanche un giorno a rilassarmi nella vicina isola di Itamaracà, un posto stupendo di spiagge bianche e acqua caldissima dove ci si lascia trasportare dalla corrente per centinaia di metri, percorrendo sottili vie d’acqua bassa come dei tronchi d’albero alla deriva.
Lo stordimento mi è giunto quasi subito, non ho opposto resistenze alla fiacca e l’ozio si è impadronito di noi, che ci alternavamo tra il mare e i vari baretti, dove con poco puoi mangiare pesce e bere acqua di cocco. Siamo stati ospitati dalla nostra padrona di casa, che in questi mesi estivi si è trasferita con alcuni amici a Itamaracà per dare più spazio agli affittuari nella sua casa di Olinda.
La casa a Olinda è bellissima –è la stessa che mi ha ospitato l’anno scorso- e stavolta la divido felicemente con Giuliano, almeno per le prime tre settimane. La mattina facciamo colazione sul terrazzo di legno in compagnia di una famiglia di scimmiette che attende qualche avanzo. Con comodo usciamo di casa e facciamo la spesa nel quartiere nuovo di Olinda, dove ogni tanto vado a correre e a farmi un bagnetto veloce, giusto una rinfrescata per camminare, che qui è pericoloso nuotare per via dell’alta concentrazione di squali.
Andiamo al centro soprattutto per fare le compere: magliette, camicie, caricabatterie. A proposito: ho trovato delle bacchette per i surdi veramente belle! Costano 4 euro l’una e mi sa che ne compro una quindicina..va bene Caracche?
Una sera siamo stati alla casa da Rabeca, un centro di divulgazione delle culture popolari del Pernambuco ad assistere a una ciranda e a un cavalo marinho. Per la prima volta ho danzato la Ciranda in mezzo a tanta gente, ho capito i passi e soprattutto la cordialità che lega i partecipanti. Il cavalo marinho è stato molto impressionante. I passi dei danzatori colpivano così forte sul terreno che mi arrivavano le vibrazioni ai piedi. Durante le danze si abbracciavano, si rotolavano, fermavano la musica, facevano scenette, creando una sotra di commedia dell’arte contadina. Ho lasciato il disco e il documentario della renna a Pedro Salustiano, esponente di una famiglia che da generazioni si dedica alla musica popolare.
Il giorno dopo mi sono buttato in una prova aperta di frevo, la danza frenetica del carnevale di Recife, in mezzo a tanti adolescenti fomentatissimi. Mi sono sentito un vecchio, non solo per la differenza di età ma anche per la fatica immensa che facevo a stare ai loro passi senza fare troppe brutte figure. Loro mi hanno accettato con facilità, erano curiosi di me e, quando ho fatto un salto particolarmente riuscito, tutta la folla mi ha applaudito. Per i 4 giorni seguenti mi sono contorto dal dolore di tutti i muscoli del corpo: non ce ne era uno che non si contorcesse dall’acido lattico. Il colpo di grazia me l’ha dato Giuliano, che mi ha fatto un massaggio molto forte alla schiena che mi ha privato delle ultime forze. Ma deve essere andato a buon fine visto che dopo due giorni, in occasione di una sambada di maracatù dell’entroterra –a Itaquitinga, vicino Nazaré da Mata- ho fatto di nuovo spettacolo di me.
La sambada è l’oggetto del mio lavoro qui in Brasile: è una prova dello spettacolo che i gruppi di maracatù rurale faranno nella loro presentazione carnevalesca. Le prove vanno avanti tutta la notte e i danzatori si sostengono solo grazie a forti dosi di cachaça. Il mio lavoro qui è quello di partecipare alle feste, di sperimentare con danze e canti il mio inserimento nelle comunità locali. Perciò mi sono lasciato andare anche io alla cachaça, che evaporava a ogni danza. Dopo alcune ore estenuanti ho compreso che quella festa era una sorta di rave contadino, dove ognuno danzava liberamente in leggera interazione con gli altri. Ho capito lo stile di movimento, che non ha passi codificati. Anche lì mi sono commosso quando il mestre ha intonato un paio di canti in mio onore e quando alcuni ragazzi mi hanno coinvolto nelle danze, dicendomi che ballavo proprio come un indio. Io l’ho preso come un grande complimento, visto che le usanze indigene sono quelle che più mi affascinano in questo momento.
Vediamo come si sviluppa il viaggio: se riesco a trovare agganci per visitare comunità indigene mi piacerebbe farci una capatina. In ogni modo l’amicizia e cortesia delle comunità rurali è il massimo che posso concepire. Invece Olinda più passano i giorni più inizia ad attirare gente. Il fine settimana è un casino pazzesco. Dicono che è già carnevale qui, ma se è così non so se mi piace. La folla mi spaventa, specie se è irrispettosa come i fricchettoni di Olinda: ci pisciano davanti casa, fanno casino a tutte le ore e si divertono senza fare amicizia. Mi sa che sono invecchiato, ma preferisco stare coi contadini, coinvolgermi in situazioni di roda, di circolo, dove poter scambiare interazioni un po’ più pulite. Forse cambierò casa a febbraio.
Sono stato a salutare mestre Chacòn, dei maracatù Portorico, che mi ha accolto con grande gioia. Ho lasciato anche a lui una copia del disco della Caracca. Mi ha invitato a suonare con i portorico e a sfilare con loro durante il carnevale, il problema è che dovrei frequentare le prove tre volte a settimana senza perderne quasi nessuna, a così mi perderei un sacco di alre situazioni interessanti. Ci penserò su… Nel suo terreiro abbiamo partecipato a una festa per gli orixas, dove ho danzato assieme ai fedeli che di tanto in tanto andavano in trance e per la prima volta ho compreso la prossimità a uno stato del genere, che prima mi sembrava così incomprensibile. Il bello dei brasiliani è che non hanno abitudini rigide, non sono integralisti ma sono aperti a ogni collaborazione e ci invitano senza problemi a sperimentare le loro pratiche, anche se non siamo formati secondo le regole della loro cultura. Così alla fine torniamo a casa con un’esperienza forte: non abbiamo solo osservato un rito, ma ci siamo stati dentro, assieme a loro.
Ieri sono stato a suonare con il gruppo di maracatù Leao Coroado, il più antico gruppo di maracatù esistente nella città, fondato nel 1863. A differenza degli altri, che fanno competizione tra di loro, sfornando ogni anno ritmi sempre più complessi, il gruppo di mestre Alfonso fa un ritmo solo, che è uguale a quello di un secolo fa. Un ritmo bello e funzionale, che mantiene viva la radice del maracatù. Poi i partecipanti mi accolto molto bene e alla fine della prova –tre ore sostenendo un tamburo pesantissimo su una spalla sola- mi hanno portato a recife antiguo, il centro storico, a danzare coco con un gruppo di olinda, i naçao xambà, che suonano coco in uno stile un po’ volgare, molto nero –tipo io so io e voi nun sete…- e privo di quella delicatezza india che oramai mi ha conquistato. Tornato a casa sono crollato totalmente e ho fatto un bel sonno ristoratore. Oggi risolvo piccoli problemi tecnici e domestici e poi tento un'altra prova di frevo. Farò di tutto per non rovinarmi il fisico….
Macchè...sono andato al laboratorio con le cosce doloranti e per fortuna che c'ho 35 anni e mi sono fermato, altrimenti se davo retta a quei ragazzetti sciolti finivo all'ospedale. Oggi mi tengo buono perchè stasera ho un laboratorio di brincadeira do boi, un lavoro originale di Heder Vasconcelos, ex-mestre ambrosio e personaggio di spicco della danza contemporanea pernambucana.
Nel fine settimana vado a trovare gli amici della cambinda brasileira, che si vedono nei campi di canna per una sambada de maracatu. Farò interviste, spero anche di filmare. Ma soprattutto danzerò con queste persone bellissime che mi vogliono tanto bene.
Amici romani! Non crediate che non tornerò più! Sto solo assorbendo un po' di energia per voi, perchè quando torno ve la voglio infondere! E' questo il mio intento, artistico e umano, perciò non disperate e attendete fiduciosi...
Oggi sono andato a una lezione di frevo e caboclinho presso il Balè Popular de Recife, un posto semplice e accogliente, con pochi alunni e un'insegnante allegra e sapiente. Mi ha fatto fare una bella sequenza di riscaldamento che mi ha disteso i muscoli contratti. E' rimasta colpita dalla mia abilità nel frevo e dice che la prossima volta mi vuole sfidare! Ma forse mi fa solo dei complimenti. Emozionante invece è stato quando le ho dato il demo della Caracca: lo ha messo durante la lezione e ha danzato il samba di coco sulle mie basi. Finita la lezione mi sono catapultato a Recife Antiguo per partecipare al laboratorio di Helder, che è un lavoro originale sulla brincadeira del boi (il bue di stoffa), in preparazione alle sfilate del carnevale. Si danza, si suona e si canta, ma soprattutto si suda una quantità impressionante di liquidi. Al momento del canto mi sono intimidito, mannaggia! Vedrò di recuperare la volta prossima. Comunque ho totalizzato 4 ore di danza oggi. Sento che mi sto rinforzando, così potrò affrontare prove sempre più dure.
Stanotte Giulianone parte per Rio e io rimarrò soletto.
Si riprende la vita quotidiana: passeggiata nel centro, dove ho comprato dei splendidi batacchi per i surdi della Caracca, tutti rigorosamente rossi. Poi delle scarpe da ginnastica per il frevo, di una taglia più piccole dei miei piedi, così da rimanere ben strette per fare quelle belle acrobazie sulle punte. Mi sono riposato un po' nei giardini di un parco osservando alberi centenari e mangiando un po' di cajù, un frutto polposo dal sapore indescrivibile.
Poi mi sono recato al Balé popular de Recife, dove mi sono iscritto per un mese di danze intensive. Purtroppo ho sottovalutato i dolorini che ancora avevo nelle gambe e ho provato ugualmente a fare dei passi un po' rischiosi. Risultato: dolore accecante! Di corsa in farmacia dove un ho preso un analgesico spray che mi ha permesso di muovermi come un vecchietto verso casa. Prima di rifugiarmi nella casetta di legno, avevo un appuntamento con Amelia Veloso, leader e produttrice del gruppo di maracatu Naçao Pernambuco, a cui ho dato il mio materiale promozionale, confidando nella sua capacità di distribuzione a produttori e organizzatori di festival. Non prometto nulla, ma l'intento di portare la Caracca qui, a collaborare con i danzatori e musicisti brasiliani mi attira molto. Per il momento mi accontento di raccogliere i contatti con le persone giuste.
Oggi, vista la gamba dolorante, farò il bravo e mi riposerò. Cercherò di scrivere un progettino di scambio artistico tra Roma e Recife e cercherò di rimediare una buona telecamera per la giornata di domani. Andrò con Barbara a conoscere un musicista molto importante qui, Siba Veloso, che fa un lavoro molto interessante. Assieme andremo a vedere due sambadas di maracatu nella zona da mata. Così mi farò una bella esperienza e potrò iniziare a scrivere il testo del libro di foto dedicato alle sambadas della mata norte. Stasera, se non sono distrutto, andrò nel terreiro di Portorico per partecipare a un xangò -rituale religioso del culto degli orixas- dedicato a oxossi.
Sabato 17 giornata memorabile. Mattinata a conoscere Siba e a Fuloresta do samba, in qualità di aiuto fotografo: fondamentalmente spostavo gli ombrellini rifrangenti e aiutavo Barbara nel suo lavoro. Abbiamo mangiato tutti insieme al mercato del quartiere Vila Madalena, un posto molto popolare con della carne ottima. Poi siamo andati a Nazaré da Mata per partecipare alla sambada di maracatù della Cambinda Brasileira, il più antico gruppo di maracatu rurale del Pernambuco. Lì ho fatto esperienza di tutto quello che mi servirà per scrivere il mio testo sul libro di maracatu: ho danzato per circa sei ore, sperimentando l'affascinante equilibrio tra sudore e cachaça (ne ho bevuta una lattina da 33cl), mai ubriaco veramente ma lievemente intontito, pronto a familiarizzare all'interno della brincadeira. La festa è durata fino all'alba, quando il sole mi ha svelato il paesaggio incredibile dei campi di canna. Non so perchè mi affascina così tanto questo paesaggio. E' come se percepissi il peso della schiavitù guardando queste colline che una volta erano bosco.
Comunque, oramai danzo come uno di loro, ho capito lo stile dei movimenti di questa festa senza passi obbligati. Loro mi hanno accolto con una tale amicizia che ho deciso di trasferirmi lì mercoledì prossimo e rimanerci fino a domenica, per partecipare a un'altra sambada. Nel frattempo ne approfitterò per fare interviste, godendo anche della compagnia di un gruppo di etnomusicologi di Belo Horizonte che si sono trasferiti lì per fare delle ricerche. Andremo in macchina alla varie feste di coco e ciranda, cavalo marinho e maracatu, filmeremo e registreremo un po' di materiale utile a tutti noi. Ho impressionato anche questi giovani ricercatori, così posati dietro le loro cineprese, che mi guardavano bagnato di sudore e sporco di terra rossa fino ai capelli, con una benevola invidia da parte loro. Vedrò di scoiglierli un po' e fargli capire che la vera ricerca non è osservare ma partecipare. Ritorno distrutto a casa alle 10 di mattina. Prima di lavarmi mi fotografo le scarpe, che sembrano invecchiate di cento anni in una sera.
Le giornate scorrono bene. Di mattina non mi affatico: mi godo la casa, la frutta e leggo libri. Il pomeriggio ho sempre una lezione di danza presso il Balé Popular de Recife e la sera o vedo prove di gruppi musicali o partecipo al laboratorio estenuante del Boi Marinho di Helder Vasconcelos. Sento che sto rimettendomi in forma, finalmente.
Oggi parto per Nazaré da Mata, luogo amato di gente bella e aperta. Rimarrò lì per tre o quattro giorni. Mi aspettano serate di ciranda, coco e sabato una bella sambada de maracatu con mestre Reginaldo, uno dei migliori cantanti-improvvisatori locali. Farò interviste e registrazioni, e mi muoverò assieme a un gruppo di etnomusicologi di Belo Horizonte che sta lavorando lì già da qualche settimana. Lascio la città caotica e dispersiva per concentrarmi sulla vita che ritengo più vera, tra la gente che vive attorno ai campi di canna.
Appena arrivato mi accoglie la musica di Santino, cirandeiro locale, che prova assieme alla sua banda presso i locali della scuola Revoltosa. Entriamo nel cortile e già lo vedo emozionato, felice della nostra presenza. Santino è un tipo sereno e delicato, canta quando vuole, non è un musicista lanciato e sta bene così. Tutti si avvicinano a conoscerci. Il bello della provincia è tutto qui: pochi stimoli, tanto tempo a disposizine. Quando arriva qualche forestiero è una gioia per tutti. Ci ritroviamo su una panchina a chiacchierare del più e del meno con tante persone, a goderci tranquillamente il fresco della sera.
Arriva Galego, trombonista di Siba, e mi prende sottobraccio fino a un bar, per bere svariati bicchierini di cachaça. Lì mi racconta della sua vita: ha iniziato a lavorare nei campi di canna all'età di 13 anni e a 18 ha smesso per dedicarsi seriamente alla musica. Ora è un musicista affermato, ma non per questo ha snobbato la modestia e l'apertura tipica della sua gente. Le nostre star dovrebbero imparare questa lezione dai musicisti brasiliani. Dopo l'ennesimo bicchiere mi presenta un proprietario di un campo di canna, dicendomi: vedi, oggi posso abbracciare un proprietario. Il tipo mi spiega che con l'aumento delle tasse anche i proprietari, che erano i veri sfruttatori dei tagliatori di canna, sono finiti in miseria, e oggi condividono i bar e il destino di tutti gli altri.
Il giorno dopo mi muovo con Lucia, etnomusicologa instancabile, e suo cugino Pedro, reporter serio e silenzioso, alla volta di Fereiro, per intervistare Zé Galdino, un cirandeiro locale. Ci accoglie nella sula casa ornata di trofei, coppe e coppette vinte in tanti festival di improvvisazione vocale. Lui suona ciranda ma è stato anche cantante di maracatu e oggi è un affermato repentista, improvvisatore in rima. E' molto sciolto nel parlare, Lucia quasi non riesce a fargli domande mentre lui svolge da solo un lungo discorso, forse già ripetuto più e più volte ai giornalisti locali. Era onorato della nostra presenza, del fatto che degli stranieri fossero arrivati fin lì per conoscerlo. Prima di andar via compro un suo cd di ciranda, che è il primo volume della serie "Poetas da Mata Norte" una bella raccolta dei migliori cantori locali.
Breve sosta per il pranzo -galletto alla brace, riso e fagioli- e poi arriviamo ad Aliança, per conoscere uno dei migliori cantantri locali, Biu Roque. La sua voce è incredibile, sembra un lamento, e la sua vita dura non smettono di incantarmi. Andate a sentire i suoi canti su myspace: ne vale la pena. Con lui le pretese di intervista sfumano rapidamente per far posto a una bella condivisione del suo spazio. Ce ne stiamo a chiacchierare pigramente, godendoci il fresco del venticello che porta aria di mare, come se fossimo stati lì già da molti giorni.
Il giorno dopo arriviamo a Carpina per conoscere uno dei miei riferimenti musicali: Joao Limoeiro, cirandeiro di prima classe. Ci accoglie con la sua bella faccia allegra e paffuta e con un' orda di figli scatenati, che disturbano meravigliosamente le riprese video di Pedro. La moglie ci offre un dolce a base di banane veramente buonissimo, mentre lui ci parla della sua musica. Ci racconta che grazie a Siba Veloso la sua fortuna è raddoppiata: suona il doppio, ricevendo compensi più alti. Tutti i musicisti che abbiamo incontrato non mancano mai di ringraziare Siba, ex leader di Mestre Ambrosio, ora radicato nella zona da mata con progetti di produzione e diffusione degli artisti locali, nonchè con il suo gruppo di successo, a Fuloresta do Samba, che rinnova e dà continuità alle tradizioni di ciranda, frevo, maracatu e coco.
Finalmente un pomeriggio libero. Ne approfitto per farmi una bella passeggiata per i campi di canna. Lì percepisco la vastità del mondo che è cambiato: non più bosco ma piantagioni infinite, che creano un nuovo ecosistema con le persone che ci abitano dentro. Ora capisco profondamente che questi non sono più indios, né africani, né portoghesi. Sono caboclos, abitanti della mata norte, che mostrano la loro identità negli spazi della canna. Per un po’ mi sento anche io parte di tutto ciò e mi commuovo guardando il verde delle foglie al vento e le vie di terra rossa. E’ strano, è come se avessi rincontrato un vecchio amico, una persona che non vedevo da tantissimi anni. In ogni modo la passeggiata mi rincuora, mi rasserena e posso tornare in paese con la testa un po’ più alta, quasi ad ostentare un battesimo nel mondo rurale. La sera bella cenetta a base di carne de sol, una carne fatta seccare un po’ al sole prima di cuocere, e macaxeira fritta, patata locale.
La mattina andiamo a trovare il gruppo di Siba che si prepara al viaggio per Recife; la sera suonano in un pub inglese. Poi ci muoviamo anche noi alla volta della capitale. Ora percepisco molto la differenza tra le persone e devo dire che i contadinotti di provincia mi piacciono molto di più dei fricchettoni disperati di Olinda. Credono di essere dei gran fichi ma adesso mi sembra che non facciano altro che nascondersi dietro i tamburi delle naçoes africane. In ogni modo decido di immergermi nella follia locale: la sera vado a una festa del bloco mangueira. Nato come gruppo di amici, con gli anni si è andato estendendo sempre di più fino a diventare un bloco. La serata infatti non è di Eddy, leader del gruppo che suona una bella musica underground sul palco, ma della mangueira, come se la vera attrazione fosse il pubblico. Danzo allegramente tutta la sera e torno stanco a casa verso le tre.
Grande sforzo a svegliarmi alle sette, ma non volevo perdere un passaggio per Itamaracà, dove mi abbandono al sole e all’acqua caldissima del mare che mi stordisce totalmente: è più calda dell’acqua bassa di Martignano ad agosto! Per prendere un po’ di fresco devo uscire dall’acqua, il contrario del nostro mare. Per tornare a casa la proprietaria mi presta la sua macchina, e io mi giovo della guida in strade che non conosco, percorrendo 100km senza mai perdermi. Arrivo in tempo per mettermi a nuovo e uscire subito alla volta di Paudalho, paesino dell’entroterra, dove la sera si svolge la festa di San Sebastiano. Danzo ciranda con Joao Limoeiro, assisto a spettacoli di embolada e repentistas, cavalo marinho e mamulengos.
Compro confetti di solo zucchero e proseguo fino all’alba, contemplando la follia di ventimila persone, per lo più ragazzetti, che danzano forrò durante un lungo concerto di Geraldino Lins. Alle 4 prendo l’autobus dei pendolari e ritorno a Recife, che mi regala un’alba bellissima.
Seguono due giorni di lavoro: sono stato alla Fundarpe a presentare il mio progetto musicale e ho contattato vari produttori per divulgare il mio materiale. La strategia è quella di sentire tutti, ma anche di informarmi sul tipo di lavoro che fanno, per cautelare il mio progetto ed evitare di proporlo a chi potrebbe rivenderselo. Non credevo che la mia proposta fosse tenuta così in considerazione, ma prima di esaltarmi voglio vedere se riesco a trovare l'interlocutore giusto che possa curare il lavoro burocratico in Brasile. Ho due buoni contatti nei prossimi giorni, staremo a vedere.
Poi ho fatto una bella chiacchierata con Maria Acselrad, una ricercatrice carioca che è molto vicina alla mia linea di ricerca. Mi ha invitato a fare un bel viaggio dopo carnevale nel sertao, per assistere a due giorni di rituali indigeni...non vedo l'ora.
Oggi sono stato a un'altra sambada di maracatu, questa volta in periferia di Recife, nel sobborgo Tabajara, maracatu Piaba de Ouro, della famiglia Salustiano. Tante riflessioni, tante contraddizioni. Innanzitutto devo dire che sono arrivato un po' tardi, alle 23.30, quando la festa era già cominciata. Sapendo che dura fino all'alba, me la sono presa comoda. Ma non c'era verso di entrare nelle danze, come invece mi è accaduto a Nazaré. Ho trovato tutti caboclos con bastoni che mimavano la guerra un po' troppo aggressivamente. I bastoni schioccavano, spesso si finiva alle mani, ma senza proseguire in episodi duri. Io non sono riuscito ad entrare. Conosciuta la brincadeira dolce dei campi di canna, a distanza, quasi una lotta di ombre, qui era una lotta più evidente, come a volte capita tra gruppi di capoeira aggressivi. A un certo punto due caboclos, già belli intontiti dalla cachaça, si pigliano: il bastone di uno colpisce il naso dell'altro, che comincia a sanguinare. L'altro lo bastona duramente ma lui non cade. Li separano. Segue un momento di calma, con un tizio in bagno a fermare l'emorragia e l'altro che sembra andato via. Invece dopo un po' ritorna a ballare, e dopo poco esce il tipo, incazzato nero. Inizia subito a bastonarlo -e non parliamo di bastoncini- ma subito intervengono tutti a fermarli. La musica cessa e io con i miei amici pensiamo che è il momento buono per andarcene. Tornando a casa penso alla rabbia che questa festa convoglia e sfoga. E' una festa preziosa, perchè in genere riesce a trasformare il dolore in sudore e abbracci. Ma oggi non è stato così. Una volta accadeva spesso; durante le sambadas ci scappava frequentemente il morto. Poi la federazione carnevalesca e l'associazione dei maracatus hanno proibito gli episodi di violenza, pena il ritiro dei finanziamenti per il carnevale. Ora, non mi sento di dire che il maracatu degli emigranti in città sia più duro, e un po' mi spiace, perchè già mi sovvenivano una serie di ragioni possibili. Ma non sarebbe giusto: del resto ne ho visto solo uno, e pure anomalo. Di certo ho assistito a un esempio di come erano una volta queste manifestazioni.
Lunedì 2 febbraio parto per Sao Luiz: cambio stato, mi sposto più a nord, nel Maranhao. Voglio cambiare aria e proseguire il cammino verso la ricerca di uno stile di danza e di musica che, conosciuto con il cavalo marinho, ora è maturato nel maracatu rurale e nel coco di roda delle campagne. Ma sento che più a nord, dove la fusione tra neri e indigeni è ancora più presente, troverò uno sviluppo interessante delle mie ricerche. Ne approfitterò per conoscere un mondo diverso. Se sarà una delusione, saprò accontentarmi delle spiagge paradisiache che si trovano a pochi passi dalla città.
Quindi con gennaio finisce il Pernambuco e comincia Maranhao 2009.
Ritornerò a Olinda il 18 febbraio, intempo per il carnevale.
Ma non potevo lasciare Olinda senza aver provato un po' di follia carnevalesca. Perciò non ho evitato la domenica e sono uscito per le strade intasate di gente. Per evitare il panico ho annullato tutti: l'eccesso di persone è come camminare nel deserto: non mettevo a fuoco nessun viso ma percepivo i flussi di movimento. Come una goccia d'acqua nel mare, seguivo le correnti e i ristagni. Ciò mi ha permesso di non sentirmi pressato in quella folla oceanica senza fine. E' come Porta Portese a mezzogiorno, solo che invece delle bancarelle ci sono gruppi musicali e stand di cibo e caipirinhe. Ne ho bevute appena due -qui l'alcol non mi fa quasi effetto- ma la percezione alterata della folla mi ha ubriacato, finalmente. Con gran naturalezza, ho ballato dietro a un gruppo di percussionisti e poi mi sono diretto verso casa. Sono crollato a letto immediatamente, in preda alla sbornia. Dopo un'ora mi squilla una mia amica. Mi invita alla notte cubana, un evento che volevo vedere già da un po'. Mi faccio forza con una doccia fredda e un caffè e dopo un'ora siamo già in periferia a danzare in un locale veramente bello. L'ambiente è molto semplice e le danze sono molto intime e sentite. Altro che la salsa aerobica dei romani! Qui si balla senza virtuosismi finti, le donne aspettano sedute qualcuno che le faccia ballare ed è un continuo movimento. Sono entrato in amicizia con una comitiva di ragazze e le ho invitate tutte a ballare. Poco a poco imparavo i passi, ma non ho fatto in tempo ad assimilarli bene al punto di dimenticarli e sciogliermi. I veri padroni del posto sono i vecchietti: grandi danzatori, fascinosi e un po' marpioni, invitano le ragazze a danzare con loro, che fanno dei numeri eccezionali, non per vistosità ma per romanticheria. Mi sembra di essere tornato a Cuba a respirare quell'aria semplice e autentica della gente che si diverte senza strafare.
Ora sì che posso partire per Sao Luiz.
Olinda, ci si rivede a carnevale!