lunedì 4 gennaio 2010

Contro la politica spettacolo, risvegliamo l'immaginario politico.

di M. Minetti

Definiamo questo concetto. La politica come prodotto commerciale di massa. Come la cultura, l’informazione, il divertimento, sono diventati merce funzionale ad un mercato più omogeneo possibile, così anche la politica, ridotta ad una questione di opinione, mostra la sua più nuova natura nei sondaggi e nella spartizione dei voti, ovvero nella riproduzione delle poltrone in parlamento. Tutti i rappresentanti dei partiti, nel loro spazio garantito in televisione e sui giornali, imboniscono la piazza vendendo la loro ricetta per un futuro di benessere e prosperità. Una concorrenza fatta di scandali, promesse ed un unico intento comune, far star meglio chi già sta bene sfruttando ancora chi è già sfruttato. Il metodo efficace attraverso cui questo organismo di politicanti si riproduce è il più tipico capolavoro della vecchia DC. L’idea è nulla, il consenso è tutto. Stare sempre a galla cavalcando le correnti di interessi particolari, distogliere l’attenzione dall’amministrazione interessata dello stato sollevando paure e infatuazioni mass-mediali, le famigerate emergenze (droga, immigrazione, terrorismo, eversione, mafia, disoccupazione, Europa...Escort). La politica in cui poi tutti devono sporcarsi le mani per poter un domani, forse, fare qualcosa di buono(?). La fatidica politica dei due tempi, il primo che sottrae terreno al conflitto, il secondo che non verrà mai. L’asse del governo che si sposta sempre da sinistra al centro, salvo poi appoggiarsi a destra se la sinistra prova a mostrarsi un poco "di sinistra". E soprattutto il canale esclusivo e privilegiato dei mezzi di informazione, unica legittimazione di un consenso strappato con la pubblicità. La distorsione della politica nel senso di una tirannide demagogica risulta dall’inesistenza di un progetto di società ideale da raggiungere. Si tende soltanto a conservare l’ordinamento sociale esistente facendo un poco di elemosina a chi alza più la voce indipendentemente se ha delle ragioni o meno per lamentarsi, con la nobile intenzione di garantirsene l’appoggio. La politica che insegue l’elettorato invece della popolazione che sceglie un progetto. Questa è la morte della politica. Uscire dall’emergenza significa appunto perseguire finalità autonome dalle necessità di particolari soggetti sociali per conquistare la libertà di tutti (Niente per noi, tutto per tutti), anche di quelli che oggi non sono all'opposizione, perchè non per questo sono meno schiavi. Significa appoggiare le lotte dei lavoratori, dei disoccupati, dei detenuti, dei senza casa, non per solidarietà o per appartenenza ma per costruire una società in cui non ci sia posto per lo sfruttamento, per la miseria, per la repressione. Non fare le lotte contro, votati al martirio, ma le lotte per degli obiettivi da raggiungere, trasforma la resistenza ad oltranza in lotta di classe. Il movimento antagonista non è immune dall’emergenza. La progettualità rimane a breve termine incalzata dalle scadenze imposte da una repressione a bassa intensità ma incessante e avvilente. L’orizzonte del confronto è spesso costretto in spazi asettici e chiusi dove è d’obbligo pesare i termini per non scontentare nessuno di coloro che giudicano senza accettare di essere giudicati, oppure dove è impossibile azzittire la retorica vuota e prolissa di personaggi che sembrano infiltrati dal ministero degli interni (e il bello è che non lo sono) per rendere impossibile ogni progettualità. E’ a questo punto evidente che la perdita del progetto politico porta necessariamente all’impotenza nel suscitare l'interesse di quei soggetti (attuali e possibili) che, pur scontenti di questa realtà, non appartengono alla ristretta cerchia dei soggetti politici attivi. L’unica possibilità risulta quindi la costruzione di una rappresentazione collettiva di una società possibile. Misurarsi nell’immaginare e descrivere l’organizzazione della produzione e della distribuzione in una società di uguali significa reinterpretare attualmente il valore dell’ideologia e porre le basi per una sua pratica efficace. Non è una cosa facile ma non è più possibile andare avanti continuando a ripetersi di non avere in tasca la soluzione a tutti i problemi. Bisogna cercare meglio e trovarla perché non si può chiedere a nessuno di iniziare un percorso di scelte e sacrifici che non si sa dove porta, anzi, che per esperienza si sa già dove porta: da nessuna parte.

1 commento:

Anonimo ha detto...

bravo.