Il 2 Aprile, per la serata Rockers!, si è svolto un incontro filosofico orizzontale riguardo al tema "la felicità" al csoa La Strada di Roma.
Si è formato un gruppo di circa 40 componenti, in effetti troppi per poter discutere al meglio, ma eterogenei per età, formazione e provenienza.
E' stato letto insieme un breve testo a cui è seguita una discussione di circa un ora.
Il testo è un adattamento in forma di intervista impossibile al filosofo greco Epicuro, scritto da Antonio Cosentino, il principale portatore delle pratiche di P4C in Italia in cui vengono esposti i contenuti della Lettera a Meneceo (detta "sulla felicità").
Domande sollevate:
- Il piacere e il dolore sono due facce della stessa medaglia?
- Una persona che non è libera, può essere felice?
- Nascere è una gioia?
- L'uomo può essere felice anche senza possesso?
- Perchè credo che il piacere che descrive Epicuro non basterebbe?
- Perchè la morte deve essere vista come dolore?
- Il piacere è felicità?
- Che cos'è la felicità?
- Come tradurre l'idea di felicità in senso universale in felicità pratica?
- Il piacere è figlio della cultura o dell'esperienza?
- La felicità ha una nascita e/o una fine?
- Cos'è l'eterno?
- La felicità è utopia?
Argomento di discussione scelto: "Cos'è la felicità?"
Aspettando la relazione di Alvise ricordiamo alcuni spunti.
Qualcuno proponeva una felicità privata permessa dall'adattamento della realtà prossima ai desideri del singolo. Trovarsi nella natura, o in buona compagnia di una persona come di un animale, di un cane ad esempio, possedere un qualcosa che ci rende felici, una casa al mare, ad esempio, o un automobile o una moto.
Altri proponevano che questa felicità privata sia in realtà solo un piacere, la felicità può esistere solo se c'è condivisione, e la felicità più grande, quella che forse è utopia, è che il piacere sia condiviso con tutta l'umanità. In un certo senso più il piacere è condiviso , più diventa felicità.
A una domanda provocatoria sull'ipotesi che la felicità sia la convinzione di essere nel giusto, di rappresentare la verità, una partecipante ribatteva in modo arguto che lei si era sentita più felice solo in quei momenti in cui aveva avuto la certezza di non conoscere la verità.
(continua...)
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