Si è formato un gruppo di circa 15 componenti.
E' stato letto insieme un breve testo a cui è seguita una discussione di circa un ora.
Testo: Paul Watzlawitck, La realtà inventata, contributi al costruttivismo (1981), Feltrinelli, Roma 1988, pp .149-151.
Domande sollevate:
- Chi non è a favore, è realmente contro?
- Abbiamo bisogno di sentirci differenti?
- E’vero che l’uomo è alla ricerca della perfezione?
- Come si fa a riconoscere il bello?
- La democrazia è libertà?
- Ciò che succede va sempre definito?
- Quanto spesso la negazione è una forma di difesa?
- La ricerca ha sempre bisogno di un fine?
- Quanto la logica contribuisce a dividere in opposti?
Argomento di discussione scelto: “ Ciò che succede va sempre definito (negazione, opposti, fine)?”
Dopo le domande la comunità osservava una somiglianza tra le ultime 4 questioni, decidendo per la prima delle quattro che in un certo senso le comprendeva. Anche la seconda questione (abbiamo bisogno di sentirci differenti?) in un certo senso rientrava nella domanda scelta.
Dopo aver cercato per qualche minuto di rispondere al quesito se ciò che succede va sempre definito, molti componenti del gruppo, in diversa maniera, sottolineavano come il definire ciò che accade come giusto o sbagliato, bello o brutto etc.. è un dato di fatto ineliminabile, non se ne può fare a meno, ma soggettivo.
L’attenzione allora è stata riportata sulla locuzione “ciò che succede” in quanto, come riferiva chi l’aveva formulata, non era stata scelta a caso.
Ciò che succede riporta sempre ad un soggetto (attivo o passivo) a cui il fatto succede (passivo) o che lo fa accadere (attivo).
Lo stesso accadimento verrà definito in modo differente da chi lo attua, da chi lo subisce o da chi lo osserva da differenti punti di vista. (A viene aggredito da B. C legge sul giornale dell’aggressione ad A. A, B e C daranno diverse interpretazioni dell’accaduto in base alle loro convinzioni: B ha fatto bene, B ha fatto male, B sono io…)
Veniva anche fatto notare che il soggetto (a cui la cosa succede) è sempre inserito in un tempo e in uno spazio. Questa contestualizzazione del soggetto è ciò che lo porta a definire la realtà secondo una scala di valori, idea di perfezione o insieme di categorie (coppie di opposti), specifiche di quel tempo e di quello spazio. Potremmo dire che il soggetto definisce in base alla sua cultura e conoscenza, che può essere più o meno aderente e conforme a quella maggioritaria nel suo contesto sociale.
Alla provocazione che proponeva che il soggetto fosse quindi schiavo del suo tempo e spazio, cioè del contesto in cui è vissuto, molte componenti della comunità di ricerca ribattevano che il soggetto non necessariamente è schiavo dei valori del suo tempo, potrebbe essere anche molto consapevole dell’ambiente in cui vive ed essere in grado di scegliere liberamente il suo punto di vista, quindi il suo modo di definire ciò che gli succede.
Ci sarà sempre d’altronde qualcuno che sceglierà di schierarsi (differenziarsi) come forma di difesa preventiva, almeno per sentirsi parte di “chi la pensa in quel modo” e contro “chi la pensa nell’altro” richiamandosi magari ad una presunta “oggettività”. Chi afferma che una posizione è oggettiva, ci dice semplicemente che vuole aver ragione per forza e non ammette che qualcuno possa pensare diversamente. In un certo senso, chi si aggrappa all’oggettività non riconosce al soggetto la libertà di poter definire in base ai propri “valori” o conoscenze che possono essere differenti, perché non contestualizza le proprie affermazioni in un tempo e in uno spazio ma le assolutizza.
Anche a causa di sollecitazioni esterne (la altre attività rumorose dovevano iniziare) il facilitatore ha cercato di tirare le fila di una seppur parziale e provvisoria conclusione.
Se è impossibile non definire e giudicare si può cercare però di farlo in modo consapevole e informato, piuttosto che in modo superstizioso e conformista. (ci tengo a sottolineare che il confine tra i due punti di vista non è assolutamente evidente). Chi fosse vissuto in un piccolo paese montano circa 100 anni fa, avrebbe avuto molte meno informazioni e molta meno consapevolezza dei propri giudizi. L’ha detto la mamma, l’ha detto il prete o qualche amico in piazza, avrebbero potuto essere tranquillamente i criteri di verità per giudicare la realtà. Per questo l’affermarsi di una dittatura in una realtà di questo tipo era molto più facile che non oggi. Qualche solito sovversivo suggeriva che questo non impedisce oggi ad una dittatura di affermarsi. Ma ha bisogno di 100 radio e 100 giornali e vari partiti e televisioni per farlo.
Più il soggetto, a cui le cose succedono, è informato ed è consapevole dei processi attraverso cui definisce e “costruisce” la realtà, più è libero di non aderire a visioni opposte ed “oggettive” del mondo e degli avvenimenti e di scegliere, in alcuni casi, di non schierarsi con nessuno dei due eserciti in lotta mortale.
Nel ringraziare la comunità di ricerca vi chiedo anche di ricordarmi la storia del monaco lasciato dalla ragazza che non riusciva a non pensare a lei… così la inserisco!!
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