Per la prima volta proviamo l’attività filosofica per ragazzi dai 10 ai 14 anni nella forma della P4C (Philosophy for children) alle ore 17 alla Casetta Rossa , in via Magnaghi 14 alla Garbatella e a seguire il “laboratorio di filosofia orizzontale” per adulti alle 18, 30. Gli incontri hanno la durata di 1 ora e sono liberi e gratuiti tra persone che spesso non si sono mai viste prima e di filosofia sono al completo digiuno. Seppure c’è qualche vago ricordo scolastico è meglio dimenticarlo a casa, tutto funziona molto meglio se si prova a ragionare con la propria testa e, soprattutto, è molto più divertente.
Per cominciare a capire già da piccoli cos’è dialogare assieme e imparare fra pari proponiamo…
Domenica 25 Novembre: Il Circolo Epicureo.
Vi aspettiamo numerosi.
Relazione:
Dopo la lettura del primo capitolo del libro Pixie di Mattew Lipman, un gruppo di circa 12 ragazzi e ragazze tra i 7 e i 12 anni hanno faticosamente partecipato alla discussione. Vista la estrema eterogeneità delle età, la discussione è risultata molto difficoltosa in quanto continuamente turbata da ricerca di attenzione, battute, prese in giro, disegni e scritte... insomma tutto normale, decisamente incontrollabile e come al solito fantastico.
sono state poste le domande:
sono state poste le domande:
- Cappuccetto Rosso è un maschio o una femmina?
- Pixie si trova a scuola?
- Perchè tutte le fiabe finiscono con il lieto fine?
- Com'è la tazzina di Babbo Natale in cui prende il té?
- Perchè una renna di Babbo Natale c'ha il naso rosso?
- Perché si chiama Pixie?
- Qual'è il nome che gli hanno dato i suoi genitori?
- Perchè Babbo Natale si chiama Babbo Natale?
- Qual'è il vero nome di Babbo Natale?
- Perchè le farfalle sono colorate?
- Perchè P. Si chiama P.?
- Quanti hanni ha veramente Pixie?
- I genitori come si chiamano?
- I genitori come sono fatti?
- Pixie c'ha i pidocchi?
- Perchè la terra è rotonda?
- Perchè la terra è marrone?
- I genitori di Pixie sono morti? E quanti anni hanno?
La comunità di ricerca non ha ritenuto necessario dare risposte ed è tornata a giocare.
Si è quindi passati ai "grandi": una diecina di adulti e una ragazza più grande del gruppo dei "piccoli".
La comunità di ricerca non ha ritenuto necessario dare risposte ed è tornata a giocare.
Si è quindi passati ai "grandi": una diecina di adulti e una ragazza più grande del gruppo dei "piccoli".
Lettura integrale della Lettera a Meneceo di Epicuro detta "Lettera sulla felicità"
sono state poste le seguenti domande:
Meneceo,
Non si è
mai troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A
qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell'anima. Chi sostiene
che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa,
o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora
il momento di essere felice, o che ormai è passata l'età. Da giovani come
da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per
sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del
grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti
in essa, per prepararci a non temere l'avvenire. Cerchiamo di conoscere
allora le cose che fanno la felicità, perché quando essa c'è tutto abbiamo,
altrimenti tutto facciamo per averla.
Pratica e medita
le cose che ti ho sempre raccomandato: sono fondamentali per una vita
felice. Prima di tutto considera l'essenza del divino materia eterna e
felice, come rettamente suggerisce la nozione di divinità che ci è innata.
Non attribuire alla divinità niente che sia diverso dal sempre vivente
o contrario a tutto ciò che è felice, vedi sempre in essa lo stato eterno
congiunto alla felicità. Gli dei esistono, è evidente a tutti, ma non
sono come crede la gente comune, la quale è portata a tradire sempre la
nozione innata che ne ha. Perciò non è irreligioso chi rifiuta la religione
popolare, ma colui che i giudizi del popolo attribuisce alla divinità.
Tali giudizi, che
non ascoltano le nozioni ancestrali, innate, sono opinioni false. A seconda
di come si pensa che gli dei siano, possono venire da loro le più grandi
sofferenze come i beni più splendidi. Ma noi sappiamo che essi sono perfettamente
felici, riconoscono i loro simili, e chi non è tale lo considerano estraneo.
Poi abituati a pensare che la morte non costituisce nulla per noi, dal
momento che il godere e il soffrire sono entrambi nel sentire, e la morte
altro non è che la sua assenza. L'esatta coscienza che la morte non significa
nulla per noi rende godibile la mortalità della vita, togliendo l'ingannevole
desiderio dell'immortalità.
Non esiste nulla
di terribile nella vita per chi davvero sappia che nulla c'è da temere
nel non vivere più. Perciò è sciocco chi sostiene di aver paura della
morte, non tanto perché il suo arrivo lo farà soffrire, ma in quanto l'affligge
la sua continua attesa. Ciò che una volta presente non ci turba, stoltamente
atteso ci fa impazzire. La morte, il più atroce dunque di tutti i mali,
non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c'è, quando c'è lei
non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi
non c'è, i morti non sono più. Invece la gente ora fugge la morte come
il peggior male, ora la invoca come requie ai mali che vive.
Il vero saggio,
come non gli dispiace vivere, così non teme di non vivere più. La vita
per lui non è un male, né è un male il non vivere. Ma come dei cibi sceglie
i migliori, non la quantità, così non il tempo più lungo si gode, ma il
più dolce. Chi ammonisce poi il giovane a vivere bene e il vecchio a ben
morire è stolto non solo per la dolcezza che c'è sempre nella vita, anche
da vecchi, ma perché una sola è l'arte del ben vivere e del ben morire.
Ancora peggio chi va dicendo: bello non essere mai nato, ma, nato, al
più presto varcare la porta dell' Ade.
Se è così convinto
perché non se ne va da questo mondo? Nessuno glielo vieta se è veramente
il suo desiderio. Invece se lo dice così per dire fa meglio a cambiare
argomento. Ricordiamoci poi che il futuro non è del tutto nostro, ma neanche
del tutto non nostro. Solo così possiamo non aspettarci che assolutamente
s'avveri, né allo stesso modo disperare del contrario. Così pure teniamo
presente che per quanto riguarda i desideri, solo alcuni sono naturali,
altri sono inutili, e fra i naturali solo alcuni quelli proprio necessari,
altri naturali soltanto. Ma fra i necessari certi sono fondamentali per
la felicità, altri per il benessere fisico, altri per la stessa vita.
Una ferma conoscenza
dei desideri fa ricondurre ogni scelta o rifiuto al benessere del corpo
e alla perfetta serenità dell'animo, perché questo è il compito della
vita felice, a questo noi indirizziamo ogni nostra azione, al fine di
allontanarci dalla sofferenza e dall'ansia. Una volta raggiunto questo
stato ogni bufera interna cessa, perché il nostro organismo vitale non
è più bisognoso di alcuna cosa, altro non deve cercare per il bene dell'animo
e del corpo. Infatti proviamo bisogno del piacere quando soffriamo per
la mancanza di esso. Quando invece non soffriamo non ne abbiamo bisogno.
Per questo noi
riteniamo il piacere principio e fine della vita felice, perché lo abbiamo
riconosciuto bene primo e a noi congenito. Ad esso ci ispiriamo per ogni
atto di scelta o di rifiuto, e scegliamo ogni bene in base al sentimento
del piacere e del dolore. E' bene primario e naturale per noi, per questo
non scegliamo ogni piacere. Talvolta conviene tralasciarne alcuni da cui
può venirci più male che bene, e giudicare alcune sofferenze preferibili
ai piaceri stessi se un piacere più grande possiamo provare dopo averle
sopportate a lungo. Ogni piacere dunque è bene per sua intima natura,
ma noi non li scegliamo tutti. Allo stesso modo ogni dolore è male, ma
non tutti sono sempre da fuggire.
Bisogna giudicare
gli uni e gli altri in base alla considerazione degli utili e dei danni.
Certe volte sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male, invece
il male un bene. Consideriamo inoltre una gran cosa l'indipendenza dai
bisogni non perché sempre ci si debba accontentare del poco, ma per godere
anche di questo poco se ci capita di non avere molto, convinti come siamo
che l'abbondanza si gode con più dolcezza se meno da essa dipendiamo.
In fondo ciò che veramente serve non è difficile a trovarsi, l'inutile
è difficile.
I sapori semplici
danno lo stesso piacere dei più raffinati, l'acqua e un pezzo di pane
fanno il piacere più pieno a chi ne manca. Saper vivere di poco non solo
porta salute e ci fa privi d'apprensione verso i bisogni della vita ma
anche, quando ad intervalli ci capita di menare un'esistenza ricca, ci
fa apprezzare meglio questa condizione e indifferenti verso gli scherzi
della sorte. Quando dunque diciamo che il bene è il piacere, non intendiamo
il semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che ignorano il
nostro pensiero, o lo avversano, o lo interpretano male, ma quanto aiuta
il corpo a non soffrire e l'animo a essere sereno.
Perché non sono
di per se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne,
i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la
dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta
o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per
l'animo causa di immensa sofferenza. Di tutto questo, principio e bene
supremo è la saggezza , perciò questa è anche più apprezzabile della stessa
filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere
che non si dà vita felice senza che sia saggia, bella e giusta, né vita
saggia, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono connaturate
alla felicità e da questa inseparabili.
Chi suscita più
ammirazione di colui che ha un'opinione corretta e reverente riguardo
agli dei, nessun timore della morte, chiara coscienza del senso della
natura, che tutti i beni che realmente servono sono facilmente procacciabili,
che i mali se affliggono duramente affliggono per poco, altrimenti se
lo fanno a lungo vuol dire che si possono sopportare ? Questo genere d'uomo
sa anche che è vana opinione credere il fato padrone di tutto, come fanno
alcuni, perché le cose accadono o per necessità, o per arbitrio della
fortuna, o per arbitrio nostro. La necessità è irresponsabile, la fortuna
instabile, invece il nostro arbitrio è libero, per questo può meritarsi
biasimo o lode.
Piuttosto che essere
schiavi del destino dei fisici, era meglio allora credere ai racconti
degli dei, che almeno offrono la speranza di placarli con le preghiere,
invece dell'atroce, inflessibile necessità. La fortuna per il saggio non
è una divinità come per la massa - la divinità non fa nulla a caso - e
neppure qualcosa priva di consistenza. Non crede che essa dia agli uomini
alcun bene o male determinante per la vita felice, ma sa che può offrire
l'avvio a grandi beni o mali.
Però è meglio essere
senza fortuna ma saggi che fortunati e stolti, e nella pratica è preferibile
che un bel progetto non vada in porto piuttosto che abbia successo un
progetto dissennato. Medita giorno e notte tutte queste cose e altre congeneri,
con te stesso e con chi ti è simile, e mai sarai preda dell'ansia. Vivrai
invece come un dio fra gli uomini. Non sembra più nemmeno mortale l'uomo
che vive fra beni immortali.
sono state poste le seguenti domande:
- Si può essere felici da soli senza considerare la relazione con gli altri?
- C'è un limite morale alla ricerca della felicità?
- Si può arrivare alla felicità evitando le cose spiacevoli?
- Quali sono i desideri naturali, quali necessari, quali inutili? E sono uguali per tutti?
- Il corpo ci indica la via per la felicità? E il corpo è l'anima?
- Noi possiamo decidere il nostro futuro?
Domanda scelta: Possiamo decidere da soli la nostra via verso la felicità?
Una delle risposte è stata: Sì, se ce lo lasciano fare. Memorabile.
Una delle risposte è stata: Sì, se ce lo lasciano fare. Memorabile.
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