sabato 5 gennaio 2019

Sul tempo libero. Perchè spariranno le cucine dalle case e altre prospettive.

di Rattus
A chi fosse interessato al dibattito che c'è stato in Francia negli anni '90 sulla riduzione del tempo di lavoro, o ne ricordi qualcosa, la questione della sparizione delle cucine dovrebbe apparire in una luce particolarmente intensa e per così dire, rivelatrice. Mi concedo quindi una breve divagazione su quel dibattito francese di ormai oltre vent'anni fa. 

Daniel Mothé, esperto di lotte operaie, apriva un suo pamphlet velenoso all'indirizzo di Andé Gorz intitolato "L' utopia del tempo libero" (questo il titolo italiano del testo di Mothe, uscito qui nel 1998 per i tipi di Adelphi) con una considerazione su due usi possibili del concetto di riduzione dell'orario di lavoro. Per alcuni, la riduzione dell'orario di lavoro rappresentava esclusivamente una soluzione contro la disoccupazione.  Per costoro "Lavorare meno lavorare tutti" significava soprattutto risolvere i problemi di disoccupazione, senza preoccupazioni sull'uso e le qualità del tempo libero. Per altri, tra cui Gorz, la faccenda era molto diversa. Ma vediamo direttamente il testo di Mothé. Egli scriveva: 

"Le tesi che difendono una politica di aumento incondizionato del tempo libero si basano generalmente su due serie di argomentazioni diverse. Secondo gli uni, la diminuzione del tempo di lavoro è una soluzione per risolvere il problema della disoccupazione. Il tempo libero si presenta allora come la ricaduta strumentale, piacevole per gli attivi, di una misura destinata prioritariamente ai disoccupati. In questa ottica, poco importa che il tempo libero sia piacevole o no per gli attivi, il problema essenziale concerne la diminuzione della disoccupazione. Gli altri argomenti difendono la tesi secondo cui l'aumento del tempo libero aprirebbe la strada a una società auspicabile per tutti, e in modo prioritario per coloro che lavorano. Questo approccio non è soltanto tecnico: esso è portatore di un progetto di società che anticipa un altro modo di vivere".

Ora credo che la maggior parte di noi appartenga alla seconda categoria. Quella di chi, con Gorz, annuncia la possibilità di nuovi modi di vita. Basta leggere il bel manuale di Peppe Allegri sul reddito di cittadinanza per rendersene conto.
Gorz, però, insisteva sul fatto che il consumismo era un effetto dell'alienazione, mettendosi su una linea "marcusiana" e anticonsumista (non molto amata dagli operaisti in quel periodo). Mothé, che aveva scritto il suo libretto per contestare Gorz, aveva gioco facile nel sostenere che la società del tempo libero rischiava di essere assai meno idilliaca di quanto sostenevano i suoi profeti:

"Secondo André Gorz, si potrebbe sperare che, sbarazzati dal consumo compensatorio richiesto dal lavoro, le persono operino scelte di svaghi diverse preferendo restare sulla spiaggia a guardare il mare piuttosto che navigare su barche a motore, preferendo andare in campeggio piuttosto che acquistare una residenza secondaria, preferendo servirsi di una bicicletta per viaggiare piuttosto che di un'automobile climatizzata ecc. Ancora una volta la realtà è diversa". pag. 60)
Mothé, tra le varie argomentazioni contro i teorici del tempo libero, notava come il tempo libero "miserabile" fosse facilmente catturato dal trash che, all'epoca, era prevalentemente quello di tipo televisivo. Scriveva Mothé:

"I divertimenti individuali devono essere distinti tra quelli gratuiti e quelli a pagamento. In questo campo per gli abitanti della megalopoli si trova solo la televisione come divertimento gratuito e popolare (che può essere consumato da tutti); le biblioteche e i musei rappresentano dal loro canto divertimenti élitari destinati a coloro che godono di risorse culturali." (pag. 44)


Quando Mothé affermava che esistevano divertimenti gratuiti e divertimenti a pagamento, sosteneva anche che i secondi erano gli unici degni di interesse. Se la gente chiedeva più lavoro e non più tempo libero, scriveva Mothé, una ragione c'era, ed era quella che con più denaro speravano di occupare meglio il proprio tempo libero, cioé di poter apprezzare divertimenti a pagamento sempre più idilliaci. L'unica eccezione che Mothé ammetteva a questo discorso è quella di tipo culturale, che però considerava elitaria, riservata a chi possiede "risorse culturali": i frequentatori di musei e biblioteche. Una nota a margine che ci preme fare è che l'aristocrazia era tale perché disponeva di un "patrimonio" culturale fatto essenzialmente di tempo libero e formazione. La classe operaia non poteva godere di quelle "risorse" perché erano un lusso rispetto alle esigenze di sopravvivenza quotidiana. Rude razza pagana, prediligeva "panem et circenses". Ma oggi ?



Qui c'è spazio anche per riflessioni intorno al contemporaneo trash internettiano e sui suoi effetti. Facciamone almeno una: Umberto Eco, intervistato da Giovanni Turchetta su massmedia e dintorni, sostenne, in una delle sue ultime lezioni, che in Internet esistono "ricchi" e "poveri". I ricchi saremmo noi, quelli che possono fare un uso avanzato della rete, perché sanno come usarla e cosa cercare. I poveri sarebbero quelli che non sono stati minimamente alfabetizzati e la ricevono per la prima volta attraverso lo smartphone, piena di pubblicità e di facezie. Lo stesso Mothé, nel passo citato sopra, poneva il problema in termini di "risorse culturali". Ma cosa significa avere "risorse culturali" ?
L'argomento, all'epoca, evocava concetti come quelli espressi in una splendida poesia di Pasolini, intitolata appunto "La ricchezza", dove il poeta ricordava i suoi trascorsi di disoccupato a Roma:

L'essere povero era solo un accidente
mio (o un sogno, forse, un'inconscia
rinuncia di chi protesta in nome di Dio...)

Mi appartenevano, invece, biblioteche,
gallerie, strumenti d'ogni studio: c'era
dentro la mia anima nata alle passioni,
già, intero, San Francesco, in lucenti
riproduzioni, e l'affresco di San Sepolcro,
e quello di Monterchi: tutto Piero,
quasi simbolo dell'ideale possesso,
se oggetto dell'amore di maestri,
Longhi o Contini, privilegio
d'uno scolaro ingenuo, e, quindi,
squisito... Tutto, è vero,
questo capitale era già quasi speso,
questo stato esaurito: ma io ero
come il ricco che, se ha perso la casa
o i campi, ne è, dentro, abituato:
e continua a esserne padrone...
( http://xoomer.virgilio.it/mailinversi/pasolinipoesie.htm )

A una ragazza che gli scrisse su «Vie Nuove» di voler studiare all'università, ma di non avere i soldi per farlo, Pasolini rispose così:

"Puoi leggere, leggere, leggere, che è la cosa più bella che si possa fare in gioventù: e piano piano ti sentirai arricchire dentro, sentirai formarsi dentro di te quell'esperienza speciale che è la cultura".


Il tema di questa presunta "ricchezza" culturale ricorre con una certa frequenza nei testi di Pasolini.
Sono dell'idea che la cultura nel senso in cui la intendeva Pasolini non costituisca, oggi, la ricchezza che rappresentava per lui ai suoi tempi. E come tale non costituisca, in quei termini, una reale alternativa. Questa è una delle spiegazioni del fallimento del perbenismo culturale umanista sulla linea Scalfari/Galimberti. L'argomento va indubbiamente approfondito su altre frequenze (a partire dalla polemica Foucault/Baudrillard). Per ora, basti dire che chi volesse seguire alla lettera il consiglio di Pasolini di "leggere leggere e leggere" in rete, finirebbe dritto nel trash (Eco docet) e poi, probabilmente, in un centro di riabilitazione psichiatrica. Rimane tuttavia aperta la questione fondamentale della pasta e patate. Su cui torneremo. 

Rattus

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