domenica 8 settembre 2019

Il malcontento della distrazione. Flussi e riflussi nella sensibilità dei social media. ( di Geert Lovink, trad. di Rattus )

di Geert Lovink, trad. di Rattus


La disillusione per i social media stimola la ricerca di tecniche sempre più raffinate di manipolazione. Disintossicarsi non aiuta, scrive Geert Lovink: è l'azione collettiva, non la forza di volontà, che può liberarci da questo stato di permanente di distrazione.

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"Non sballarti mai con le tue stesse risorse." (Dieci Comandamenti di Crack) - "L'altro come distrazione: Sartre on Mindfulness" (conferenza Open University) - "Non ha mai pensato di appartenere a nessun luogo, tranne quando era sdraiata sul suo letto, fingendo di essere da qualche altra parte. "(Rainbow Rowell) -" Questo contenuto non è adatto a tutti gli inserzionisti. "-" Nella mia testa faccio tutto bene. "(Lorde) -" 15 anni fa, Internet era una via di fuga da Il mondo reale. Ora, il mondo reale è una via di fuga da Internet. "(Noah Smith) -" Non nutrire le piattaforme "(t-shirt) -" Le mie parole non contano e io non conto, ma tutti dovrebbero comunque ascoltarmi. "(Pinterest) -" Smetti di piacermi, inizia a leccare. "(pubblicità del gelato) - #ThisIsWhatAnxietyFeelsLike -" Prendi a calci quell'abitudine, amico "(W. Burroughs).

Benvenuti nella nuova normalità. I social media stanno riformattando la nostra vita interiore. Man mano che la piattaforma e l'individuo diventano inseparabili, il networking sociale diventa identico al "sociale". Non più curiosi di sapere quale sarà il "prossimo web", ci chiediamo invece in quale tipo di informazione saremo autorizzati a pascolare durante i periodi di carestia. La precedente fiducia nella regolarità delle nuove idee è stata frantumata. Invece, un nuovo realismo è subentrato. Come Evgeny Morozov ha scritto in un tweet: "L'utopismo tecnologico degli anni '90 ha postulato che le reti indeboliscono o sostituiscono le gerarchie. In realtà, le reti amplificano le gerarchie e le rendono meno visibili. (1)

Una posizione non moralista nei confronti dell'attuale frenetico uso dei social media potrebbe essere quella di non sputare sentenze ma, piuttosto, di scavare nel tempo leggero di anime smarrite come le nostre.
Come si fa a scrivere una fenomelogia delle connessioni asincrone e dei loro effetti culturali, a formulare una critica di tutto ciò che è cablato nel corpo sociale della rete, senza guardare a ciò che avviene al suo interno ? Avventuriamoci allora in un viaggio in questo terzo spazio chiamato techno-sociale.

Le reti non sono case di piacere. Il malcontento cresce intorno alle forme e alle sostanze: dalle presunte interferenze della Russia alle elezioni presidenziali statunitensi del 2016, fino all'ex presidente di Facebook Sean Parker che ha riconosciuto che il sito implimenta "dipendenza da design". Parker: "È un ciclo a feedback di riconoscimento sociale, esattamente il tipo di cosa che un hacker come me me vorrebbe inventare, perché state forzando una vulnerabilità della psicologia umana". (2)

Il successivo è justin Rosenstein inventore del pulsante "like" di Facebook, che paragona Snapchat all'eroina. C'è anche Leah Pearlman, una ex project manager di Facebook, che ammette che ella stessa ha iniziato a diffidare del bottone "like" e degli altri cicli di retroazione compulsiva. E c'è Chamat Palihapitiya, un altro ex dirigente di Facebook, che afferma che i social media stanno dilaniando la società e suggerisce alle persone di "prendersi una robusta pausa". (4)

Dopo aver letto storie del genere, chi non si sentirebbe tradito ? La ragione cinica inizia a prevalere mentre ci rendiamo conto dei trucchi che vengono orditi sulla nostra testa. Gli schermi non sono come sembrano. Il targeting comportamentale è stato smascherato e i nostri sospetti sono confermati; questi effetti si esauriscono presto e i dipartimenti marketing vanno in cerca di una nuova strategia per il controllo dell'attenzione. Non finirà mai? Cosa significa questa nostra coscienza della "distrazione organizzata" ? Noi sappiamo di essere interrotti ma lasciamo che accada: questa è la distrazione 2.0.

Cosa fare nel momento in cui ci rendiamo conto di essere alle strette e dobbiamo fare i conti con la sottomissione mentale? Qual è il ruolo della critica e delle alternative in una situazione così disperata di ubiquità? La depressione è una condizione generale, che sia conclamata o che non lo sia. Internet: tutto qui? Il malcontento nei confronti della matrice culturale del ventunesimo secolo passa necessariamente dalla "tecnologia" all'economia politica. Concentriamoci sulla nostra incapacità collettiva di cambiare l'architettura di Internet come su una questione di "esaurimento democratico" e sull'ascesa dell'autoritarismo populista e della "Grande regressione".

Ma stiamo anche attenti al moralismo che filtra nell'analisi critica. Prima di tutto dobbiamo affrontare la scomoda domanda del perché così tante persone sono attratte nell'abisso dei social media. Dipende forse da quella "disorganizzazione della volontà" di cui parla Eva Illouz nel suo libro "Why love hurts ?" (?)
Quanti sostengono l'utilità di Facebook, WhatsApp e Instragram esprimono nello stesso tempo sentimenti contrastanti intorno alle politiche etiche di Mark Zuckerberg. In ciò che Illouz descrive come una "godibile ambivalenza" le considerazioni razionali e quelle emotive si confondono, provocando infine un degrado dell'impegno - uno schema che si ritrova anche nel dibattito sui social media. Voglio andarmene ma non posso. C'è anche troppo ma in fondo è noioso. È utile ancorché disgustoso. Fin dove abbiamo ancora la decenza di riconoscerlo, in realtà le nostre dipendenze si trasformano, di fronte alla prospettiva di una vita sconnessa dal flusso, in uno svuotamento. 

La dopamina è la metafora della nostra epoca. Il neurotrasmettitore rappresenta i cicli di accelerazione nel nostro umore, prima che ci schiantiamo. Il flusso sui social media varia da esplosioni di aspettative a lunghi periodi di intorpidimento. La mobilità sociale è caratterizzata da oscillazioni simili. La fortuna buona e la cattiva si imbattono l'una nell'altra. La vita fa la sua strada, fino a quando non ti trovi improvvisamente in una "extortion trap", il tuo dispositivo viene catturato da un virus ricattatore (ransomwere). Passiamo da intense esperienze di soddisfazione lavorativa collettiva, se siamo fortunati, a lunghi periodi di incertezza lavorativa, pieni di noia. La nostra vita interconnessa è una storia di scatti di crescita seguiti da stagnazione, quando rimanere in contatto non serve più a uno scopo. Chiamiamolo aspirapolvere sociale: siamo risucchiati, allettati da miglioramenti che non si materializzano mai.

Le architetture dei social media ci paralizzano, legittimate dall'effetto di rete. Tutti ci sono dentro, almeno così supponiamo. La convinzione, ancora sostenuta dieci anni fa, che gli utenti si comporteranno come sciami, saltando da una piattaforma all'altra, è stata smentita. La diaspora sembra persistentemente inutile. Ci preme sapere dove si trova il nostro ex, i calendari degli eventi e i conflitti sociali delle tribù vecchie o nuove. Si può rimuovere l'appartenenza, annullare l'iscrizione, disconnettere o bloccare i singoli molestatori, ma alla fine prevalgono i trucchi che ti riportano nel sistema. Bloccare utenti o cancellarli è considerato un atto di cura di sé. L'idea di lasciare tutti insieme i social media va oltre la nostra immaginazione.

Il nostro disagio con "i social" inizia a far male. Ultimamente, la nostra vita sembra travolgerci. Restiamo in silenzio per ritornare dopo poco. Il fatto che non vi siano uscite di sicurezza o evasioni possibili trasmette ansia, burn-out e depressione. Hans Schnitzler racconta della liberatoria sindrome da astinenza sperimentata dai suoi studenti quando hanno scoporto la magica esperienza di camminare per il parco senza l'onere di dover scattare istantanee da mandare su Instagram.

Allo stesso tempo, avvertiamo una crescente avversione nei confornti delle risposte della "scuola di vita" New Age al sovraccarico digitale.

I critici di internet danno voce allo sdegno morale nei confonti dell'uso strumentale delle scienze del comportamento, volto a manipolare gli utenti, solo per scoprire come le loro preoccupazioni finiscano in raccopandazioni sulla "disintossicazione digitale" nell'ambito dei corsi di self-help. Non molto sembra accadere oltre le confessioni sulla MyDistraction in stile Alcolisti anonimi.

Uno dovrebbe forse dirsi soddisfatto di una riduzione del dieci per cento del tempo speso sui dispositivi elettronici ? Quanto tempo ci vuole prima che l'effetto si sia volatilizzato ? Stai avvertendo una certa inquietudine? I consigli benintenzionati diventano parte del problema, dal momento che si confondono con la valanga di applicazioni mirate a realizzare "una migliore versione di te stesso".
di te". Invece, dobbiamo trovare il modo di politicizzare la situazione. Un approccio basato sul "capitalismo di piattaforma" dovrebbe, prima di tutto, evitare qualsiasi soluzione basata sulla metafora della dipendenza: i miliardi di persone online non sono malati e, in ogni caso, io non sono un paziente. (9) Il problema non è la nostra mancanza di forza di volontà, ma il nostro incapacità collettiva di imporre il cambiamento.

Siamo di fronte a un ritorno della distinzione sociale alto/basso con un'élite offline che ha delegato la sua presenza in rete agli assistenti personali, in contrasto con il compulsivo 99%, sempre alle prese con lunghi spostamenti, molteplici lavori e pressioni sociali, complessi giochi di relazioni sessuali, amici, parenti e rumore su tutti i canali, che non può più sopravvivere senza accesso in rete 24/7. 

Un'altra tendenza regressiva è la "svolta televisiva" dell'esperienza Web, dovuta all'aumento del video online, al riciclo dei canali TV classici sui dispositivi Internet e all'emergere di servizi come Netflix. A Reddit Shower Thought la dice così: "Navigare sul web è diventato come guardare la TV in passato, sfogliando una manciata di siti Web alla ricerca di qualcosa di nuovo" . (10) I social media come la nuova TV fanno parte di un processo di erosione a lungo termine di quella "cultura della partecipazione" un tempo celebrata, un passaggio dall'interattività all'interpassività. (11) Questo mondo è enorme ma vuoto. Ciò che resta sono le tracce dello sdegno collettivo di coloro che commentano. E noi leggiamo cosa hanno da dire i troll per poi spazzare via la sporcizia verbale con rabbia.


Una delle conseguenze non previste dell'uso dei social media è la crescente riluttanza nei confronti degli scambi verbali diretti. In un post intitolato "Odio i telefoni" inviato sul suo blog, James Fisher si lamenta della disfunzionalità dei call center e classifica tutte le telecomunicazioni "sincrone" come inefficienti: "La comunicazione testuale asincrona è il modo in cui tutti comunicano da remoto adesso. È qui per restarci. (12) Secondo Fisher, uccidere il telefono apre un grande mercato. E fa parte di una rivoluzione del silenzio. Il modo più efficace per sabotare il mezzo è non rispondere più alle chiamate. Durante una visita a una scuola media professionale ad Amsterdam, mi è stato detto che la scuola aveva introdotto una classe di "comunicazione" per i nativi digitali dopo che le aziende si erano lamentate che gli stagisti non erano in grado di parlare con i clienti al telefono.


Il dialogo, al telefono o in un bar, è costituito da un vasto panorama semiotico in cui il significato non è legato a qualche dovere. Al contrario, si tratta di evitare decisioni, di fare sondaggi nel mondo del possibile. Siamo persi nel tempo mentre chiediamo, spieghiamo, interrompiamo e ci meravigliamo, indovinando il significato delle esitazioni e il linguaggio del corpo del nostro partner. Questa vasta esperienza è l'opposto della tecnica di compressione che si manifesta nella forma condensata del meme. Esso comprime problemi complessi in una singola immagine, aggiungendo uno strato ironico, con l'obiettivo esplicito di propagare un messaggio che può essere compreso in una frazione di secondo, prima di essere spazzato via.

'Per favore, avvicinati, stupiscimi.' Non importa quanto sia perfetta la tecnologia, gli scambi fluidi e veloci rimangono l'eccezione quando ci imbattiamo nella dura realtà dell'Altro. Al momento inviamo un messaggio di testo che prevediamo di riceverne uno indietro. Questa attesa, nota anche come "textpectation", può essere un'esperienza lunga e dolorosa. 'Ogni volta che il mio telefono vibra, spero che sia tu.' Come notato da Roland Barthes, 'far aspettare qualcuno è la prerogativa costante di ogni potere.'(13) Sono sempre io che aspetto.

Dopo l'eccitazione, durante i giorni bui, i social media non riempiono più il vuoto. Durante i giorni senza amore ci si sente piatti, come un fallimento. Alcuni si arrabbiano facilmente: l'ansia sociale è in aumento. Quando gli stabilizzatori dell'umore non funzionano più e non ti vesti più al mattino, sai di essere stato aspirato.

Muovere le dita aiuta a spostarsi altrove con la mente. Toccare lo smartphone è la nuova forma del sognare ad occhi aperti. Inconsapevoli del nostro breve assentarci, ci godiamo la sensazione di essere presenti altrove. Mentre controlliamo gli aggiornamenti facciamo una digressione, il movimento si inverte e, inopinatamente, l'Altro entra nel nostro mondo.
Proprio come nei sogni ad occhi aperti, visitare i social media può essere definito come un "distacco a breve termine dall'ambiente circostante durante il quale il contatto con la realtà è reso indistinto". (14)

Tuttavia, la secondo parte di questa definizione di Wikipedia mal si adatta al nostro caso. Pretendiamo forse di essere da qualche altra parte quando frughiamo tra i messaggi nell'ascensore? Veloci passaggi sui social media possono forse essere una fuga dalla realtà presente, ma davvero ci rifugiamo dentro una fantasia ? La vedo dura. In realtà gettiamo sguardi agli aggiornamenti per lo stesso motivo per il quale sogniamo ad occhi aperti: cancellare la noia.

Dovremmo vedere l'uso dei social media come espressione di istinti repressi? O invece attraverso i social media come flussi di segni digitali provenienti da membri della tribù dispersi? La psiche deve forse ripristinare i legami sociali al fine di riguadagnare un senso di parentela nell'era delle reti sottilmente diffuse? Ri-assembliamo quelli a noi vicini sui nostri dispositivi. Possiamo descrivere la versione online del social come una revisione secondaria (Freud), una forma di elaborazione dei processi complessi nella nostra vita quotidiana?

Possiamo interpretare l'uso dei social media nei caffè, in strada, nei treni, in cucina e nel letto come una forma alterata di coscienza, questa volta alimentata dal mondo esterno? Certamente, una definizione di social media come "attenzione all''altrove" o persino come "tecno-telepatia", appare in contrasto con le richieste diffuse di una presenza più corporea e spirituale, che conduce a un cervello meno distratto in grado di concentrarsi più a lungo e meglio.

Ammettete l'invidia: altri hanno esperienze gratificanti da cui voi siete assenti. The Fear of Missing Out (FOMO, paura di essere esclusi) provoca questo costante desiderio di impegno con gli altri e il mondo. La gelosia è la parte inferiore del bisogno di far parte della tribù, alla festa, petto a petto. Ballano e bevono mentre tu sei fuori, da solo. C'è anche un altro aspetto: il voyeurismo online, la forma fredda e distaccata della sorveglianza peer-to-peer che evita attentamente l'interazione diretta. Guardiamo e siamo guardati online.

Sopraffatti da un falso senso di familiarità con l'Altro, ci annoiamo rapidamente e divientiamo irrequieti. Pur essendo consapevoli del nostro dovere storico di contribuire, caricare e commentare, la realtà è diversa. Siamo tornati ai notiziari e agli influencer professionisti: solo pochi sanno come attirare l'attenzione a proprio vantaggio.

Quando le applicazioni non sono più nuove, volgono nell'abitudinario. Questo è il momento in cui geek, attivisti e artisti scompaiono dalla scena e vengono sostituiti da genitori, psicologi, analisti di dati ed esperti di marketing. Nel libro "Aggiornarsi per rimanere gli stessi", Wendy Chun sostiene che "i media contano molto di più quando sembrano non importare affatto, detto altrimenti, dopo che si sono spostati dalla novità al consueto" (15) 

Chun descrive le abitudini come faccende strane e contraddittorie, che possono essere sia rigide che creative. L'abitudine consente la stabilità in un universo in cui il cambiamento è fondamentale. La sua natura ripetitiva non è vista come qualcosa di brutto. "L'abitudine, a differenza dell'istinto, viene appresa, coltivata: è la prova della cultura nei più forti del mondo." Ma la sua privatizzazione politica distrugge la sfera privata, facendo sì che gli utenti di Internet vengano capovolti, inquadrati come soggetti privati esposti in pubblico.

"I media abituali" capitalizzano la voglia di anti-esperienza, condividendo informazioni all'interno della bolla filtrante di ciascuno. Separati dal loro radicalmente Altro fattore di novità, i social media provvedono al desiderio di qualcosa di diverso. Questo si realizza anche a livello interpersonale. "L'esperienza diventa intrusiva, stridente, invadente", osserva Mark Greif. 'Non è più un premio, anche se è l'obiettivo che tutti cercano. È un flagello. Tutto ciò che desideri è una qualche medietà che riduca il sentimento. (17)

Iniziamo a sentirci distaccati quando gli amici diventano emotivamente troppo esigenti. Una volta che non ci interessa più e che il melodramma è finito, gli diamo uno sguardo, come se esistesse, e in una frazione di secondo siamo più avanti. L'ansia sociale svanisce e si appiattisce in uno stato di indifferenza, in cui il mondo scivola ancora, ma con una qualità di intorpidimento. Quando il mondo è svuotato di significato, siamo più che pronti a delegare esperienze agli amici. Senza rancore. Man mano che la distanza cresce, la gelosia si dissipa.

Per indagare sul termine "congelamento sociale", il critico tecnologico Tijmen Schep ha creato un sito Web che cerca di catturare gli effetti a lungo termine della vita all'interno di un'economia della reputazione. Il congelamento descrive la semplice osservazione che se si è osservati, si cambia il comportamento. "Le persone stanno iniziando a rendersi conto che la loro" reputazione digitale "potrebbe limitare le loro opportunità." (18) Ciò porta a una cultura di conformismo, avversione al rischio e rigidità sociale. La resistenza dovrà cercare di smantellare gli algoritmi e criminalizzare la raccolta dei dati. Solo quando i servizi di analisi dei dati non saranno più disponibili, ci sarà la possibilità di "dimenticare" collettivamente queste tecniche culturali e le loro conseguenze.

Conclusione di Schep: "I dati in realtà non sono il nuovo oro, sono il nuovo petrolio e stanno danneggiando l'ambiente sociale". Un recente manifesto sulla prevenzione dei dati sostiene simili linee guida: non è sufficiente "proteggere la privacy" attraverso la regolamentazione. Sia la produzione che l'acquisizione dei dati devono essere prevenute in primo luogo. Per Schep, la privacy significa il diritto di essere imperfetti. Dobbiamo progettare una libertà che mina le pressioni tecnologiche per condurre una vita prevedibile. Altrimenti, potremmo trovarci a vivere sotto un regime di credito sociale. Benvenuti nella Minority Report Society, dove la prevenzione della devianza è stata interiorizzata.


Ricordate il film "Her"? Il protagonista maschile con la crisi di mezza età si innamora di un sistema operativo donna chiamato Samantha. Il film è una parabola sulla solitudine narcisistica e una storia "piena di sentimento" sulle macchine che ci aiutano nel difficile passaggio da una relazione all'altra. Nello scenario di retro-futuro di "Her", ci siamo abituati ad una vita uniforme e siamo fuggiti dalla diversità. Ma non possiamo certo dire che i protagonisti di "Her" fossero distratti. Nella "interiorità artificiale" in cui vivono, essendo strutturalmente disattenti alle cose esterne, rifuggono il contatto con l'esterno, proprio come gli innocenti abiti Hello Kitty che abbiamo visto per decenni nelle strade delle metropoli asiatiche.

Nel suo libro Distributed Attention, la teorica dei media Petra Loeffler ci offre uno spostamento di prospettiva(19). Tornando sugli scritti di Walter Benjamin e Siegfried Krakauer, nota in passato la distrazione fosse concepita come un diritto e come tale rivendicata dai primi movimenti sindacali. I lavori di fabbrica ripetitivi dovevano essere compensati con l'intrattenimento. La richiesta di tempo libero è stata supportata da tecnologie come il panorama, la mostra mondiale, il caleidoscopio, lo stereoscopio e il cinema, una cultura metropolitana incarnata nella figura del gawker (colui che si resta bocca aperta, fissa senza nascondere il fatto che lo sta facendo).

Dopo la seconda guerra mondiale, con l'ascesa delle tecnologie dei media generalisti questo atteggiamento cambiò lentamente. È subentrata la fase di "disorientamento" (Bernard Stiegler). Ora che abbiamo distaccato la distrazione dall'intrattenimento, non siamo più in grado di vedere come lo smartphone sia un giocattolo necessario nella riproduzione della forza lavoro (20). A quale prezzo ? Invece di politicizzare i sogni ad occhi aperti digitali, dovremmo scommettere sul cavallo chiamato noia. Ad un certo punto, la Silicon Valley perderà la sua guerra all'attenzione e la sua economia guidata dagli spot farà un inevitabile scivolone. Ma non ci siamo ancora. Le loro strategie di messa a punto comportamentale e di sorpresa funzionano ancora.

La storicizzazione di Loeffler può aiutarci a venir fuori dalla morale che circonda il discorso sulla distrazione e a chiederci finalmente che cosa ci sta spingendo sempre più in profondità in queste reti. Come ha fatto Roland Barthes con la fotografia, esaminiamo il "punctum" dei social media. Come puoi identificare e analizzare l'elemento sorprendente che ti ferisce e ti attrae, quel raro dettaglio che il tuo occhio sta cercando? È la possibilità di libertà e di liberazione dalla stimolazione orchestrata, l'informazione improbabile che sconvolgerà la routine. Mentre ci sentiamo incapaci di interrompere il nostro comportamento Ciò che desideriamo è la prossima ondata di interruzioni. La dipendenza "programma il suo uso continuo bloccando la nostra capacità di prevedere alternative" (Gerald Moore). Siamo bloccati in una situazione che rende impossibile "disturbare i disturbatori".

Mentre il malcontento per il discorso sulla distrazione si diffonde, c'è una crescente rivolta contro il suggerimento che è tutto un nostro problema. Prendi Catherine Labiran, che non vuole più che la cura di sé sia sinonimo di coccole, riconoscendo che "si è stancata delle conversazioni sul fatto che la cura di sé è legata solo a una qualche forma di meditazione" (21). La terapia di disintossicazione digitale combatte solo i sintomi, come scrive Miriam Rasch: ' Essa trascura le cause della distrazione perpetua, della perdita di concentrazione e del burn-out. Uscire nei boschi senza telefono non ti aiuterà a lungo termine. "(22) 
Secondo Rasch, la disintossicazione e altre strategie disciplinari aiutano solo le aziende a guadagnare di più.

Michael Dieter non è d'accordo. Egli ci avverte che è troppo facile condannare i ritiri di disintossicazione digitale come uno stratagemma neoliberista. "Il ritiro evidenzia la necessità di pratiche collettive e di cambiamento dell'ambiente di utilizzo", afferma. 'Non sono sicuro che dovremmo fidarci dei nostri interessi individuali per combattere la distrazione da soli ... La disintossicazione pura è uno sforzo rischioso, come affermano gli esperti medici: può rafforzare gli impulsi o le abitudini che miriamo a sbarazzarci. Esperienze mediatiche ibride, forme interdisciplinari diversificate di formazione e metodologie oltre il digitale costituiscono dei passi avanti, insieme alla volontà di vivere la crisi come un momento di riflessione."(23)

L'élite è divisa in due sulla "distrazione epidemica", e fa una confusione con profonde implicazioni per gli standard educativi e gli approcci pedagogici. I decisori invocano allo stesso tempo set di competenze digitali e capacità di lettura approfondita. Non è loro interesse dare vita all'utente pietrificato. Non stiamo parlando soltanto di perplessità razionalizzate come questioni etiche; la questione dell'attenzione si spinge al nocciolo di come l'economia globale viene modellata. Da un lato, la ricerca ribadisce ripetutamente che la produttività aumenterà considerevolmente una volta impedito l'accesso ai social media durante l'orario di lavoro. D'altra parte, un numero crescente di imprese beneficia proprio della confusione dei confini tra lavoro e vita privata. In condizioni di lavoro che rendono un accesso permanente un prerequisito, andare offline è un affare potenzialmente rischioso. L'app che ci sta agganciando è quella che ci renderà liberi.

Si può sostenere che la risposta alla richiesta di "accesso per tutti" sia nel "diritto alla disconnessione"? Possiamo andare oltre questa dicotomia? (24) I social media esistenti mancano di arroganza, stile ed enigma. È la loro mentalità meschina, squallida, coltivata alle spalle, che deve essere attaccata. Per evitare il romanticismo offline, dobbiamo chiederci quali informazioni sono veramente vitali per noi, come possiamo ottenerle in modo indipendente e fino a che punto possiamo accettare i ritardi che vengono loro incorporati. Le informazioni vitali possono colmare il "gap aereo" e raggiungerci anche quando non siamo più presenti sulle reti? Offline o online, ciò che conta è il modo in cui fuggiamo insieme da una vita calcolata. È stato divertente finché è durato, ma ora stiamo andando avanti.

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